Emigrazione italiana e cinese dipinti con gli stessi colori
In questa relazione, prodotto di ricerche accurate, la dott.sa Valentina Pedone tratta le più importanti tematiche riguardanti la comunità cinese residente in Italia:
Nel testo si sottolineano le somiglianze tra il processo migratorio italiano avvenuto un secolo fa con l’ attuale condizione dei cinesi sul territorio italiano.
La ricerca e la riflessione condotte dalla dottoressa sulle analogie tra questi due periodi di flussi migratori e le cause di questo “parallelismo”, vengono ricercate negli elementi sociali, culturali e storici. Le fonti adottate per la ricerca sono le testate giornalistiche pubblicate tra 2000 e 2003, di cui vengono considerati solo gli articoli che trattano le quattro tematiche e che presentano le parole chiave sull’ argomento, senza diluizione di significato con possibili varianti.
I risultati della ricerca hanno sottolineato come l’ emigrante italiano di un secolo fa vivesse in condizioni sociali, private e lavorative quasi del tutto simile all’ attuale emigrante cinese. Le grandi metropoli, come Londra, Parigi e New York, rappresentavano le mete principali verso le quali si dirigevano gran parte della corrente migratoria italiana, all’ interno delle quali si costituivano agglomerati di quartieri italiani denominati “little Italies”. Gli elementi più evidenti sono la presenza in queste comunità di organizzazioni mafiose, la questione degli “schiavi e schiavisti” e l’isolamento degli italiani attraverso la rinuncia alla lingua locale per le difficoltà riscontrate nel tentativo di impararlo e il mantenimento dei propri costumi.
Le “little Italies”, come le “chinatown”, venivano viste come una delle cause del degrado delle città, infatti le “little Italies” erano definite: “ una manciata di miseria che deturpa una bella città” ( affermazione riportata dal New York Times ).
Si parla tanto della criminalità degli migrati e quella che più spesso viene commentata dai giornalisti è quella dalla comunità cinese, denominata come “mafia gialla”. Molti giornalisti utilizzano terminologie evidentemente importati da altri contesti migratori per accusare il fenomeno della criminalità organizzata come un fattore strettamente connesso alla natura della cultura e dell’ organizzazione sociale cinese, questo fenomeno viene ridimensionato parzialmente dai giornalisti moderni con la citazione di fonti da cui traggono le informazioni, evitando così di “campare per aria” con affermazioni errate.
Un tempo anche negli USA la parola criminalità richiamava alla mente le mafia italiana.
Infine il fenomeno dell’ abuso dell’utilizzo della parola “chinatown”: all’ origine la parola chinatown era generata per indicare la maggioranza numerica della popolazione cinese rispetto agli abitanti del luogo, oggigiorno gli si affiancano connotati negativi, trasformandolo in un sinonimo del degrado e della miseria.
Nella relazione è inoltre contenuta la questione degli “schiavi e schiavisti”, ovvero lo sfruttamento e il lavoro mal pagato da parte degli imprenditori verso i dipendenti connazionali e la questione inerente allo sfruttamento minorile, caratteristiche presenti sia nella società emigrante italiana che in quella cinese.
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