Lettera aperta a ”La Stampa” di Torino
Alla cortese attenzione del Direttore de La Stampa di Torino.
Una studentessa universitaria di Torino.
Gentile Direttore,
Gentile direttore, io sono una cittadina cinese e vivo in Italia dal 1990, ho studiato al 1° liceo artistico di Torino, lavoro da qualche anno anche come mediatrice culturale, e attualmente sono iscritta all’Università di Torino!
Sono indignata che il vostro giornale sostenga in modo così leggero e superficiale l’accusa che “sono una specie di spia” senza fare alcuna distinzione o specificazione sul caso. Che cosa dovrei pensare? Che sono una spia solo per il semplice fatto che ho la cittadinanza cinese?
Le vorrei dire che io, come “tutti gli studenti”, mi impegno ogni giorno con fatica e pazienza cercando di migliorarmi, perché credo che la formazione e la conoscenza siano una ricchezza che ogni persona ha diritto di darsi, anche per essere una cittadina più consapevole di domani.
Inoltre La informo che di recente qui a
Torino si è costituita una rete “
AVVICINA”, e io sono una delle responsabili delle associazioni di cinesi di seconda generazione,
Associna.
Con altri giovani italiani e cinesi abbiamo costruito, lavorando insieme passo a passo, una mostra multimediale sulla comunità cinese di Torino, che è stata accolta positivamente dai cittadini torinesi e non solo!
Mi stupisco che sul giornale non compare nulla di questa iniziativa che si è appena conclusa al
museo MAO, la mostra: “
SOTTO LO STESSO CIELO”.
Un progetto concepito e realizzato dagli stessi ragazzi che studiano all’Università e che
lavorano insieme, perché vogliamo creare dei luoghi di incontro e di scambio culturale, del quale noi giovani sentiamo fortemente la necessità. Con la speranza e l’obiettivo di realizzare un ponte di coesione sociale. Perché
abbiamo voglia di dialogare, di incontrarci, di migliorare il nostro futuro.
Mi spiace per il sig.
J. Dyson per il suo sfogo e la sua frustrazione, ma
è inaccettabile che La Stampa sostenga e promuova questi messaggi di discriminazione, approfittando della crisi e dei problemi economici che preoccupano tutti. Ma non giustificano questa accusa, o offesa, che sembra tutta razzista.
Con questo La invito a riflettere anche su chi c’è dall’altra parte che legge il giornale.
Cordialmente,
una studentessa cinese.
HU FENG MEY
Cara Mei,
rispondo al tuo appello con questa mia Lettera aperta.Lettera aperta
Un articolo non documentato con un titolo che genera confusione e pregiudizio
Su “La Stampa” del 28 marzo 2011 è stato pubblicato in prima pagina un articolo dal titolo “Attenti ai cinesi, sono qui solo per spiare”.
Mi unisco all’appello della studentessa Hu FengMei nel denunciare l’utilizzo scorretto di una notizia relativa alla Gran Bretagna, e per giunta ambigua e tutta da verificare, per trasmettere al pubblico dei lettori italiani paura, pregiudizio e xenofobia nei confronti degli studenti universitari stranieri e in particolare degli studenti di origine cinese.
In modo particolare il titolo, proposto in prima pagina, non potrà che rafforzare la già ben nota ignoranza degli italiani nei confronti della comunità cinese residente in italia e dei giovani sino-italiani. Pur riferendosi alla Gran Bretagna, come si scopre leggendo l’articolo, il titolo è particolarmente pericoloso poichè rischia di mettere in cattiva luce la presenza nel nostro paese degli studenti universitari cinesi, ossia migliaia di giovani (alcune centinaia al solo Politecnico di Torino) checostituiscono il futuro delle relazioni culturali ed economiche tra Italia e Cina. L’Italia e gli italiani dovrebbero cercare di collaborare, di dialogare, di lavorare con gli universitari cinesi, se non per amore dell’intercultura, almeno per interesse economico.
Invece, ancora una volta, prevalgono divisioni, incomprensioni, sospetti. Non abbiamo davvero bisogno di questo clima e dobbiamo fare di tutto per evitare che un’informazione non attenta possa distorcere la percezione dell’opinione pubblica italiana.
Francesco Vietti
Leggendo l’articolo sia dalle fonti del web inglese che sulla Stampa, viene lecito domandarsi:
cosa fa l’Italia come Nazione per lasciarsi scappare questi “cervelli cinesi” fuori dall’Italia? Una volta formati, queste menti daranno forza ad imprese in Italia o in Cina?
L’affluenza di studenti stranieri nei campus statunitensi ed europei è sempre stato segno di un certo prestigio: infatti in Cina
gli studenti che falliscono l’esame di selezione (Gaokao) alle
prestigiose Università statali cinesi –
si apprestano a ricercare posti all’Estero pur di non finire nelle facoltà “di serie B”, dove con una loro laurea triennale si rischia di lavorare in una catena di montaggio o a fare semplicemente il cameriere.
La maggior parte sono quindi ragazzi appena maggiorenni che cercano una
seconda possibilità fuori dai propri confini e di riscattare i propri sacrifici imparando una seconda lingua.L’
Inghilterra risulta la seconda opzione più quotata (dopo gli States) tra i candidati cinesi, nonostante normalmente si debbano pagare per intero la retta massima (tra le più care al mondo).
La nuova legge approvata dal Governo di David Cameron a dicembre 2010 alzerà la soglia delle tasse universitarie da 3mila a 6-9mila sterline annue.
Il rischio futuro è quello di vedere estinta la fascia sociale più bassa nei College britannici, oltre che una fetta percentuale maggiore di studenti Overseas. Si incentiva fortemente questo afflusso di ragazzi stranieri con il loro flusso monetario nelle casse dello Stato, senza tener conto del risvolto positivo di carriera una volta laureati.
L’Italia non è da meno ed ha investito negli ultimi anni nei patti bilaterali, da una parte colProgetto Marco Polo & Turandot che porta gli studenti, dopo 9-12 mesi di lezioni d’italiano, nelle nostre Università investendo tempo, denaro e cultura nella facoltà soprattutto di Economia e Ingegneria. Dall’altra parte ci sono nove Istituti Confucio che offrono le medesime opportunità per gli studenti che studiano il cinese.
Basti pensare che fino a qualche anno fa gli studenti proveniente dalla Cina erano 700, nel 2011 nella sola Bologna se ne contano ben 800 (dati Collegio di Cina). Non c’è da meravigliarsi che l’attenzione del pubblico si stia imponendo su questi nuovi scenari.
Ipotizzare un complotto di spionaggio governativo verso un flusso di migranti per studio senza prove o testimoni in Italia è grave. Ipotizzando che l’affermazione fosse vera, come si attuerebbe? Usare il termine “cimice” in campo informatico è del tutto antiquato: sono microfoni microscopici che hanno bisogno di un’antenna ricevente nell’area limitrofa circostante (se mai ci fossero prove di microspie, almeno scovare i furgoni sospetti dalle registrazioni delle telecamere a circuito chiuso è il minimo sindacabile). L’articolo parla di spionaggio a livello di computer, meglio conosciuti col termine di Spyware (software spia) o Trojan (cavalli di troia) – termini più precisi per indicare questi virus informatici.
Attendiamo Wikileaks per una fuga di notizie su tali fatti.
Alla Stampa l’unico esperto in materia risulta il corrispondente da Pechino il prof. Francesco Sisci, apparso per l’ultima volta il 7 Gennaio 2011. Difficile però coprire con degli editoriali argomenti interessanti e complessi come il problema universitario in Cina, trattato dal n. di Febbraio 2011 di EAST (Europe and Asia Strategies) o dal collettivo di China-Files.
Sempre più articoli della cronaca italiana si riassumono col la parola “rubare”. Il web italiano nel 2011 è in uno buono stato di “informare”, forse non è il caso di spendere maggior tempo e dare ai propri lettori nuove idee su come rilanciare l’economia italiana nel mercato globale?
La Cina è un concorrente in forte ascesa mondiale, ma se assieme ad altri Paesi emergenti scelgono le università dei Paesi OCSE, bisogna ripartire da tutto questo e fermare l’emorragia dei cervelli in fuga (che la rivista di Riccardo Luna WIRED sta censendo con interviste a grande respiro).
La paura è una moda passeggera di cattivo gusto. Impaurire i propri lettori toglie tempo prezioso ad una corretta e sana informazione obiettiva. Gli strumenti e i corrispondenti validi nel Celeste Impero ci sono (altri cervelli Made in Italy all’Estero, cito solo quelli che seguo maggiormente, Gabriele Battaglia di Peacereporter e Simone Pieranni di Wired/China Files molto attivo anche su Twitter@simopieranni), sarà il caso di ricominciare dai propri cocci?
Sun Wen-Long
Studente universitario e resp. di Associna a Bologna
Date: Wed, 30 Mar 2011 13:17:01 +0200
Cara Mei,
condivido la tua indignazione, con questa mia Lettera aperta.
Lettera aperta.
Un elogio alla CATTIVA INFORMAZIONE.
Il quotidiano “La Stampa” del 28 marzo 2011 pubblica in prima pagina un articolo intitolato “Attenti ai cinesi, sono qui solo per spiare”, caspita in questo momento di catastrofi umane ed ecologiche (Libia, Giappone) una notizia del genere proprio ci mancava!
Il celebre imprenditore britannico Sir James Dyson, inventore dell’aspirapolvere senza sacchetto, lancia l’allarme puntando il dito contro i cinesi, quando la Ivy League britannica, che riunisce i migliori atenei del Regno Unito NON HA MAI SEGNALATO VIOLAZIONI DELLA SICUREZZA!!!
Alcuni lettori, forse troppi, si saranno fermati al titolo allarmante, con il risultato di sentirsi “aggrediti” dalla potente Cina, che non solo invade i mercati mondiali, togliendo lavoro ma addirittura “ci spia rubandoci il sapere” ! Ottimo argomento per distogliere l’attenzione dai problemi concreti che affliggono la nostra nazione.
Se questo è il risultato che si voleva ottenere mi complimento con l’editore, mi permetto di far notare che chiunque sia dotato di sensibilità e coerenza utilizza gli strumenti in suo possesso per far crescere la coesione e la collaborazione e non per alimentare tensioni creando divisioni.
Paola Barile.
STAMPA 28.03.2011 PRIMA PAGINA.
“Attenti ai cinesi, sono qui solo per spiare”
MATTIA BERNARDO BAGNOLI
Vengono, s’iscrivono nelle nostre università da urlo, poi tornano a casa loro e ci fanno una concorrenza serrata. Ma soprattutto piantano cimici nei computer e rubano materiale scientifico e tecnologico di primissima importanza. 007, insomma, più che studenti. Eppure è così. La denuncia – confermata di fatto dagli atenei britannici – viene da un imprenditore celebre e stimato, Sir James Dyson. Quello che ha inventato l’aspirapolvere senza sacchetto. Che dice: ho le prove. E punta poi il dito, in particolar modo, contro i cinesi. I quali, ovviamente, fanno spallucce e si trincerano dietro «lo spirito di cooperazione che esiste fra i nostri Paesi».
Un portavoce dell’ambasciata cinese a Londra ha infatti precisato che nessuna università del Russell Group – la Ivy League britannica, ovvero l’associazione che riunisce i migliori atenei del Regno Unito – ha mai sollevato questioni per violazioni della sicurezza. «E’ nell’interesse della Cina, delle relazioni sino-britanniche nonché della stessa Gran Bretagna che i nostri studenti scelgano di studiare qui», precisa il diplomatico. Bene. Sottolineare i libri è un conto, infettare i computer della facoltà con software spia un altro.
So di casi spaventosi», ha infatti rivelato Dyson al Sunday Times. «Nei pc vengono impiantate delle cimici così che le informazioni continuino ad essere trasmesse all’estero anche quando il ricercatore ha lasciato il suo posto». Accuse gravi che hanno subito suscitato preoccupazione. «Non è il comportamento che ci aspettiamo dagli studenti stranieri», ha ribattuto David Willetts, sottosegretario all’Università. «Visionerò con grande attenzione le prove raccolte da James Dyson». Ma una prima conferma viene già da Nicola Dandridge, amministratore delegato di Universities Uk. «Siamo a conoscenza del problema – ha detto -. Ce ne stiamo occupando con grande fermezza”. I dubbi di Dyson non si fermano però qui. «La Gran Bretagna – ha detto ancora – è molto orgogliosa di aver tanti studenti stranieri nelle proprie università. Eppure quello che in realtà stiamo facendo è istruire i nostri competitor. Non stupisce che governi e aziende siano disposti a pagare molto denaro per far studiare persone a Cambridge o all’Imperial College: conoscono bene il valore di quei centri di ricerca. I ragazzi tornano poi a casa e iniziano a farci concorrenza. E’ una follia».
«Lo dico da produttore e da sviluppatore di nuove tecnologie – ha concluso – E’ davvero frustrante vedere aziende straniere e governi stranieri sfruttare questi atenei». Il rischio cinese, ad ogni modo, è in un certo senso storia di ieri. A professori e ricercatori, quando si recano in Cina o in altri Paesi considerati «a rischio», il governo raccomanda infatti di lasciare a casa laptop e cellulari per evitare di essere poi spiati una volta rientrati in patria. Detto questo, arginare il mercato della conoscenza è quasi impossibile. Ora come ora quasi 57 mila ragazzi cinesi studiano nel Regno Unito: una crescita del 21% rispetto al 2009.
LA RASSEGNA STAMPA IN SEGUITO DI QUESTA LETTERA
Posted by
Associna
on 29 Marzo 2011. Filed under
Approfondimenti,
Associna.
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