Malia Zheng è nata 25 anni fa a Prato. I suoi genitori sono originari di Rui’an, una città nella prefettura di Wenzhou, 400 chilometri a sud di Shanghai. Ha studiato scienze politiche a Firenze, laureandosi in media e giornalismo. Dal febbraio 2013 collabora con il quotidiano «Il Tirreno» e cura anche il blog Incontri ravvicinati.
Verissime le accuse per le responsabilità italiane, ma la teoria secondo cui non c’è schiavitù se c’è il consenso del lavoratore a condizioni di lavoro da schiavo, sembra ignorare tre secoli di lotte operaie e rimuove il concetto, che anche queste lotte hanno portato nella nostra cultura, che il consenso prestato in condizioni di disumana subalternità, manca della sua caratteristica principale per essere considerato tale: la libera determinazione.
Di fronte a fatti come questo serve meno giustificazionismo e più autocritica.
Ciao Francesco,
io invece mi trovo completamente d’accordo con l’autrice.
Quello cinese è un popolo molto pragmatico, quindi se ad ogni ora vengono pagati X sono ben disposti a fare Y ore pur di raggiungere il loro obbiettivo finale.
Parlare di lotte operaie va bene, ma adesso che c’è la crisi quanti italiani (!!) sono disposti a tapparsi il naso pur di avere un lavoro, anche con contratti brevi e brevissimi?
Allora l’autocritica non è che va bene solo quando la indirizziamo agli altri…
Inoltre, ci dimentichiamo troppo spesso che siamo di due culture estremamente diverse. Non per forza quello che noi italiani riteniamo i requisiti minimi del rispetto della persona debbano valere anche per gli altri.
@Jacopo
ti dimentichi che pero’ siamo in Italia. Quello che noi definiamo, con leggi per le quali abbiamo combattuto, requisiti minimi della persona, devono valere sul nostro territorio. Non possiamo permettere che I nostri valori vengano meno.
Sinceramente ipocrita la conclusione dell’articolo in cui si da’ colpa alla negligenza italiana. A leggere cose del tipo che non siano venuti pensando di creare un quartiere ghetto o di lavorare illegalmente mi chiedo dove sia la buona fede.
Si puo’ criticare tutto agli italiani, ok, ma non prendeteci per scemi. Non venitemi a dire che pensavano di lavorare legalmente, che non pensavano di formare un quartiere ghetto… Questi articoli secondo me marcano ancora di piu’ la distanza tra le due comunita’:a mio avviso, se e’ vero che sempre di piu’ gli Italiani si mostrano intolleranti, questo articolo fa campire come sempre di piu’ I cinesi stessi sono pronti a dare le colpe agli altri e a non crecare di capire le situazioni locali in cui entrano, rifiutando qualsiasi autocritica. Ergo la situazione e’ inevitabilmente destinata a peggiorare.
o meglio…sognano il riscatto sociale e si indebitano per migrare in paesi dove i loro connazionali già piazzati li ospitano con vitto, alloggio e con un lavoro con una busta paga regolare che permette loro di essere in regola… ma che in tasca loro non finisce regolare
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Malia e’ ancora troppo giovane ( non in senso offensivo ma in senso di esperienze ). Inoltre tende per motivi etnici a vedere la responsabilita’ o almeno cercare un responsabile nella mentalita’ degli italiani. Ma da quello che capisco io a Milano, e’ anche la mentalita’ chiusa poco espansiva e la poca socialita’ intrinseca nel carattere cinese ossia introverso, timido, timoroso che ha portato ad un certo isolamento. Vedo persone che per lavoro sono costrette a parlare con italiani, ma c’e’ sempre un muro un non voler dare confidenza, a non socializzare, due parole un sorriso e tu vai per la tua strada e io per la mia. Questo li isola e li costringe a stare tra loro. Fa parte del loro carattere pero’ e non e’ cattiveria. Un mio collaboratore un anno fa mi disse che ando’ poco tempo prima in Cina e trovando la nonna la abbraccio e la bacio’ sulle guance e lei pianse perche non era abituata a questa manifestazione di affetto, classica degli italiani. Anche con gli amici mi disse, che alcuni accettavano l’abbraccio altri lo respingevano e parlava di amici veri che non vedeva da tempo. Mancanza di socializzazione come comunita’ li isola e ovviamente, oltre alla lingua, li mantiene distanti dagli italiani. Un vero peccato.