La chiamano “citta’ della tristezza”

 

"Wetland Park. Tin Shui Wai". Hong Kong, 2012 © MiLo Sciaky

 

(segue dalla prima)

“Tin Shui Waaaiii? Reeaaallyyy? So faaar, so daaangerooous!” Ecco la frase-stampino con cui gli hongkonghesi accoglievano la notizia della mia attuale residenza presso la Ng House, Tin Fu Estate, Tin Shui Wai, che gli piacesse o no… Hong Kong. Il Porto Profumato.

Questa è la storia di una biciletta e del suo proprietario. E’ la loro storia fintanto che una mattina miracolosamente soleggiata mi sono svegliato trovando la bicicletta in salotto e il suo proprietario al lavoro. Il mio lavoro invece non ha una definizione e quindi posso decidere di svolgerlo un po’ come mi pare. E’ quindi diventata la storia della bicicletta e mia.

La bici era comparsa a illuminare la mia giornata come un fascio luminoso sul cammino di una sposa verso l’altare ai piedi del quale congiunegrà la sua vita a quella dell’amato. Era destino che ci incontrassimo. Abitavo a Hong Kong da un mese ormai e avevo esplorato ogni meandro della città, isole annesse, scattando centinaia di fotografie. Fatto una capatina a Hengdian, nella provincia dello Zhejian che ben conosciamo, tornato a Hong Kong, scattato altre centinaia di foto e partito per Shanghai. Visto cose, tornato nello Zhejiang, tornato dallo Zhejiang e di nuovo a Hong Kong dove mi ero finalmente rotto le palle di scattare fotografie a cose belle, ma banali. Necessitavo di sostanza. Ero emigrato dall’altra parte del mondo per affrontare qualcosa di diverso dalle solite ovvietà da blog di viaggio e avevo bisogno di un’idea. Poi ho trovato lei. La bicicletta del mio amico. L’ho afferrata e condotta fuori. Era deciso: avrei perlustrato le vicinanze tutte uguali di Tin Shui Wai.

Tin Shui Wai ai miei occhi era un bel posto. Un posto cui sinceramente non prestavo molta attenzione. Ci abitavo. Davanti a casa c’era la fermata del tram che conduceva alla stazione della metropolitana che in una quarantina di minuti mi lasciava in pieno centro. In pieno centro del mondo. Senza fare domande. Naturalmente le differenze con lo skyline più alto del mondo non potevano non vedersi. Apprezzavo il contrasto e la calma bucolica che questa zona dei Nuovi Territori mi concedeva ed ero determinato, al colmo della mia generosità, a darle una possibilità di rivelarsi.

Pedalare era piacevole e farlo a Hong Kong, dove non c’era spazio per un pedone in più, figurarsi per una pista ciclabile, conferiva a questo ripetitivo esercizio fisico un sapore in più. Ricordando che il mio padrone di casa mi aveva parlato di un vicino villaggio famoso per i ristoranti di pesce ho deciso di dirigermi lì. Non per il pesce, ma per gustarmi la genuinità dei pescatori, sperando ne fosse rimasta ancora un pochino. Una volta attraversato una sorta di mercato rionale sono sbucato all’ltra estremità, in riva al mare. Sulla riva opposta l’impressionante distesa di grattacieli di una Shenzhen avvolta dalla foschia mista inquinamento. La Cina. In quel momento un signore mi si avvicina, seguito mestamente da una donna intimorita dallo straniero in un luogo così remoto. Lui, al contrario, ostentando un comprensibile inglese e contemplando l’orizzonte sentenzia “poche ore a nuoto e sei qui” riferendosi al modo in qui i cinesi arrivavano clandestinamente a Hong Kong.

Questo fatto mi ha colpito come una folgorazione scuotendomi dalla cecità cui mi sarei abbandonato se non fossi stato appena appena così curioso da spingermi un po’ più in là: ma certo! Tin Shui Wai, vista la sua posizione, è il primo approdo per gli immigrati che certamente non possono andare ad affittare un appartamento ai Mid Levels o al Peak. Interessante. L’idea di approfondire l’argomento cominciava a farsi strada nel mio subconscio. I Nuovi Territori e il loro proposito di assorbire una domanda sempre crescente di alloggi che non si sarebbe mai arrestata visto che tutti vogliono, quanto pare, un pezzettino di Hong Kong in cui gravtare mi affascinava, ma c’era qualcosa in Tin Shui Wai che non riuscivo ancora a capire bene.

Come per molte cose nella mia vita l’illuminazione è arrivata dalla televisione. La sera successiva mi compro un dvd. Volevo un film dal sapore locale e immaginate la mia sorpresa quando mi sono accorto che l’intera pellicola che stavo aprezzando si svolgeva nel blocco di case in cui abito. Un segno del destino. Nessun dubbio. La realtà dipinta tuttavia non combaciava con la mia esperienza diretta. Disperazione, violenza, disagi sociali come piovessero. Ero determinato a scartare il pacchetto in cui era contenuta la “città della tristezza” e scoprire cosa ci fosse esattamente al suo interno e perchè avesse questa pessima reputazione.

Ho cominciato a lavorarci seriamente e ho conosciuto parecchie persone impegnate a portare sollievo agli abitanti del quartiere. La cosa bella del conoscere persone in qualità di ospite è che la convenzione vuole i “padroni di casa” offrire pranzi e cene al fortunato impiccione straniero, quindi, a Tin Shui Wai, per un periodo, ho vissuto da re. Dopo è arrivato il mio turno di aprire il portafoglio e il re è diventato giullare.

Orbene. Tin Shui Wai ha appena una ventina d’anni. Di forma romboidale è costituita da una serie di Estate formati da gruppi di palazzoni di 40 piani. Tutti dotati di ampi spazi comuni, portici ben tenuti in cui non è consentito fumare, parecchie strutture gioco per bambini e campi da calcio, basket, addirittura una pista da mini 4vd. Un polmone verde di dimensioni notevoli e bellezza sorprendente, un fiume che l’accarezza a ponente e da cui se solo da queste parti esistesse il sole si potrebbe ammirare, pare, uno splendido tramonto. Ogni gruppo abitativo è servito da un centro commerciale all’interno del quale si diramano le uniche attività commerciali consentite. E qui il sogno inciampa. Infatti il paradosso di Tin Shui Wai è che è il quartiere (se un quartiere con 300.000 abitanti può essere considerato tale) più povero di Hong Kong in cui la vita costa di più.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che l’edilizia popolare che basava i suoi presupposti assistenziali sulla volontà di accogliere immigrati, specie dalla madrepatria cinese, e classi meno abbienti, fino a quelle povere, ha creato un contenitore di massa lontano dal mondo in una bella e verde confezione dimenticandosi di fornirla di infrastrutture. Perfino di un ospedale. La costruzione della metropolitana che la collega alla vera città, viste le maggiori distanze, è costata molto più delle altre linee urbane e di conseguenza il prezzo del biglietto è maggiore.

Una delle super potenze immobiliari che regna su Hong Kong svolge un ruolo da monopolista possedendo tutti i centri commerciali e gran parte degli spazi non consentendo la realizzazione di altre attività e quindi, di fatto, uccidendo la concorrenza mantenendo i prezzi dei pasti nei ristoranti, ad esempio, a un livello minimo quasi doppio rispetto a Kawloon o all’Isola. Non esistono, perchè non possono, a Tin Shui Wai, i famosi e caratteristici ristoranti di strada in cui i locali possono pasteggiare con meno di 2 euro, eccezion fatta per 5 ritorantini sul marciapiede di Tin Heng, uno dei gruppi abitativi più disperati, e chiamato ironicamente “street food street”, la strada del cibo di strada.

Tin Shui Wai appartiene ai Nuovi Territori di seconda gnenerazione. Mentre quelli di prima come la vicina Tuen Mun (estremo occidentale) o Sha Tin, creati intorno agli anni 60 si sono ben inseriti nel tessuto connettivo urbano grazie alla contestuale creazione di fabbriche e quindi lavoro, Tin Shui Wai giace isolata, magnifica nella sua posizione tranquilla e da quartiere residenziale in cui io stesso ambirei ad abitare per un eventuale pensione, ma in cui gli abitanti non possono lavorare, perchè di lavoro non ce n’è! Il risultato? Famiglie spaccate con genitori costretti a viaggiare avanti e indietro con le altre zone di Hong Kong, e in alcuni casi a passare la settimana in Cina, oltre il confine, da qualche parte nel Guandong o oltre. Questi i casi più forunati. Per il resto disoccupazione galoppante e nessuno svago soprattutto per i più giovani. Nessun serivizio che la renda funzionale.

Tutta questa polveriera è scoppiata nel 2005 quando un padre di famiglia ha ucciso la moglie, le due figlie gemelle e poi si è tolto la vita, scoperchiando una galassia di disperazione e problemi che erano stati spazzati sotto un enorme tappeto affinchè non offuscassero l’aura dorata di Hong Kong e urtassero la percezione dei turisti convinti di essere finiti in qualche luogo speciale solo perchè accecati dalle lucine e i lustrini. “A Hong Kong la scatola è bella, ma i problemi le scivolano appena sotto” mi ha detto un amico qualche giorno fa.

A Tin Shui Wai si sono concentrati gli abitanti più poveri perchè per ottenre una casa popolare a Hong Kong esiste una graduatoria e accettare di finire qui consente probabilità maggiori di ottenerne una.

Il sistema di assistenza popolare cittadino è efficiente e funziona, ma non ha certo la bacchetta magica e nonostante le risorse e l’assistenza che dopo i fatti di cronaca esplosi a ciel sereno il governo locale ha attuato, Tin Shui Wai continua a soffire. Ma questo è il destino delle metropoli, e non è l’accanimento su tematiche sociali che mi ha spinto ad approfondire l’argomento. Semplicemente l’assenza di un approfondimento sull’argomento.

 

"Lau Fau Shan. Confine con Shenzhen", Hong Kong 2012 © MiLo Sciaky

Posted by on 9 Marzo 2012. Filed under Blog, Foto, Once Upon A Time In... Hong Kong, Prima Pagina. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

One Response to La chiamano “citta’ della tristezza”

  1. alessio martin

    che storia, comlimenti

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