Questo articolo è stato segnalato da nik978, il link originario è questo:
http://http://groups.google.it/group/it.politica.pds/browse_thread/thread/a8beb2c3bb4721b3/1bd3249ffcc178a7?lnk=st&q=calcio+cinese&rnum=60&hl=it#1bd3249ffcc178a7Nordest, la crisi non parla cinese di Paolo Cacciari
Non pensano di cadere nel ridicolo, anzi fanno la voce grossa, organizzano
meeting, marce di protesta fino a Bruxelles. Gli industriali dell'ex mitico
Nordest, tessili, calzaturieri con Unindustria al seguito invocano "misure
d'emergenza", cioè dazi e protezioni fiscali alle merci provenienti dalla
Cina. Vengono compilati elenchi di settori a rischio: apparecchi
radiotelevisivi: +49% l'import cinese su base annua; metallurgia +157%;
meccanica +51%; cuoio e calzature + 19%; abbigliamento +16%; editoria e
stampa +33%. Insomma, l'invasione è in atto e i sistemi produttivi locali
della piccola e media impresa variamente associati nei distretti, nei
consorzi, nella miriade di zone industriali diffuse tra la Pedecollinare
lombarda e la Pedemontana veneta e friulana sono entrati in una pesante
crisi.
La lista della cassa integrazione e delle imprese in sofferenza è zeppa di
nomi illustri: Safilo, De Longhi e Zanussi, Bassano Grimeca nel Polesine,
Pedavena, Fiamm. 15 mila, 30mila, 60mila sono le previsioni che vengono
fatte, a seconda delle fonti, dei posti di lavoro in pericolo. A cascata, si
ipotizza, cadranno le microimprese dei subfornitori, dei contoterzisti. Non
dimentichiamoci che la media dei dipendenti per azienda non supera le 5
unità nel Veneto e le 6 in Lombardia. Il "modello" nordestino delle Pim è
entrato in una crisi strutturale. Cresciuto con la velocità del fulmine
sfruttando le opportunità della apertura delle frontiere ad est e della
svalutazione competitiva della lira negli anni '90, rischia di precipitare
altrettanto velocemente. Per ironia della sorte è proprio lo Yen deprezzato
e gli investimenti occidentali (italiani compresi) a fare la fortuna del
miracolo cinese, indiano, pakistano, vietnamita, indonesiano. Per dei
liberisti convinti, come lo sono i signori della Confindustria, e per dei
raider dei mercati, come lo sono i piccoli industriali italiani, lamentarsi
oggi per la concorrenza è davvero una insopportabile indecenza.
Quando lor signori vanno a vendere telai e macchine da cucire nei "paesi
emergenti", cosa credono che ci facciano, ricami e merletti? I calcoli, in
altre parole, dovrebbero essere fatti con più precisione, a "partita
doppia", seguendo l'intera filiera produttiva e, forse, scopriremo che i
luoghi dove si aggiunge più valore alle merci sono ancora in occidente. Ad
esempio, i cinesi hanno dichiarato alla Commissione europea impegnata nelle
trattative sul tessile che in termini di valore le importazioni di lino e di
altri tessuti dall'Italia superano il valore delle esportazioni. Ma anche
questo spiega poco.
Franco Bernabé, navigato manager dell'Eni, ora consigliere di
amministrazione di società partecipate cinesi, inquadra precisamente la
questione: ½La Cina non è il Giappone, la Germania, l'Italia che hanno avuto
bisogno dei mercati esteri per crescere. Loro il mercato ce l'hanno in casa
ed è enorme. Più della metà delle merci esportate dalla Cina sono fatte in
outsourcing per multinazionali che si sono installate in Cina ma non sono
cinesi. Alle imprese cinesi il mercato occidentale non interessa, è più
costoso e più complicato, ha margini più bassi di quello domestico? (il
manifesto del 10 giugno). Capito chi è che ci "attacca", ci "invade" e ci
"affama", ci fa "concorrenza sleale", pratica il dumping e contraffa i
gloriosi marchi della moda italiana? Le imprese occidentali stesse che,
passo dopo passo, lungo la Romania, l'Ungheria, la Bielorussia. hanno fatto
rotta nel Far East asiatico. Le cause principali della "crisi" dei settori
della manifattura rivolta all'esportazione sono i meccanismi di mercato
liberisti, voluti dai governi occidentali in seno alle organizzazioni
mondiali del commercio.
E' un'operazione politica orchestrata ad arte, in atto da tempo, che ha a
che fare non solo con l'economia e l'equità sociale, ma con la stessa
democrazia. La campagna anticinese giustifica i raid dei vigili contro le
merci contraffatte dei venditori ambulanti africani nei centri turistici,
alimenta l'insofferenza contro i lavoratori migranti extracomunitari ormai
"inutili" e, quindi, socialmente pericolosi, dà la stura alle ritorsioni
antieuropeiste come il ripristino della lira nei mercati ambulanti di
Treviso sostenuta dalla Giunta regionale del Veneto. Il percorso di
mistificazione è completato; gli operai e i ceti popolari "padani" hanno un
falso nemico con cui prendersela e un nemico reale (i loro padroni e
padroncini) con cui allearsi. Preoccupa l'afasia della sinistra e dei
sindacati stessi. Il tessuto della piccola e media impresa ha fatto emergere
una nuova borghesia industriale. Molti di loro se la vedono male, ma anche
se sono "oggettivamente" sulla stessa barca dei loro dipendenti, possiedono
ben altri e diversi mezzi di salvataggio.
22 giugno 2005
http://www.liberazione.it/commento.aspòtutto=1