Da il sole24ore, di Giorgio Barba Navaretti e Riccardo Faini
L' accordo raggiunto fra Unione europea e Cina che limita la crescita delle esportazioni di alcuni prodotti tessili verso l'Europa non ha sopito le polemiche fra liberisti e chi invoca ulteriori protezioni. Nondimeno, l'accordo presenta diversi vantaggi. Innanzitutto, si evita una guerra commerciale che si sarebbe ritorta contro i nostri esportatori e avrebbe impedito l'avvio di un dialogo serio su temi molto importanti per l'industria italiana quali la contraffazione. Uno dei tanti aspetti delle regole del commercio internazionale che è troppo poco rispettato e che va rafforzato. In secondo luogo, dovrebbe consentire alle nostre imprese di avviare pienamente il processo di ristrutturazione produttiva, fruendo di una temporanea e parziale protezione dalla concorrenza cinese. Soprattutto, diventa possibile valutare in un clima un poco più sereno la dimensione della ½ minaccia ? cinese e la strategia di politica economica da adottare nei confronti di tale paese. Sono tre i temi che andranno affrontati.
I vantaggi per le imprese.
La Cina, lo si ripete spesso, è un grande mercato. Le sue importazioni sono cresciute a tassi molto rapidi, analoghi a quelli delle esportazioni. ? un Paese sempre più aperto che, negli ultimi tre anni, ha dato un contributo fondamentale alla crescita dell'import mondiale, più elevato persino di quello degli Stati Uniti. Questa dinamica riflette non solo la crescita molto rapida dell'economia, ma anche il processo di liberalizzazione commerciale che ha visto i dazi cinesi sull'import scendere dal 43% nel 1991 al 12% nel 2003 con un ulteriore calo previsto dall'accordo con la Wto al 5,7% nel 2011. Tra il 1994 e il 2003 le esportazioni del resto del mondo verso la Cina sono cresciute del 257%, quelle dell'Europa del 186 per cento. E dell'Italia? Nello stesso periodo sono cresciute appena del 58 per cento. Il problema quindi nasce soprattutto dall'incapacità del nostro sistema economico di sfruttare le opportunità offerte dal mercato cinese.
I vantaggi per i consumatori.
Il dibattito in Italia si focalizza quasi esclusivamente sulle imprese. Si dimentica o perlomeno si trascura che una maggiore concorrenza da parte delle importazioni si traduce in generale in prezzi minori dei beni importati a tutto beneficio dei consumatori.
Gli effetti non sono trascurabili.
Le famiglie italiane spendono una parte cospicua del loro reddito, quasi il 10%, su tessili, abbigliamento e calzature. Un calo medio dei prezzi di tali beni del 20% aumenterebbe il reddito reale delle famiglie del 2 per cento. Il maggior potere di acquisto delle famiglie italiane si tradurrebbe in un aumento della domanda anche per altri beni con ricadute positive sugli altri settori e sui consumi aggregati. Si potrebbe obiettare che una parte importante della domanda italiana di beni d'abbigliamento non si rivolge ai beni cinesi, troppo specializzati nella bassa gamma. Verissimo.
Ma allo stesso tempo va ricordato come il peso dei consumi dei beni di minore qualità cresce al diminuire del reddito. Le importazioni sono a loro volta molto sbilanciate verso i beni a più bassa qualità. Una riduzione del prezzo di tali beni avrebbe quindi effetti del tutto benefici sulle classi meno abbienti e, di riflesso, un effetto redistributivo di segno favorevole.
La minaccia cinese. E' indubbio che i volumi delle importazioni di tessili e abbigliamento dalla Cina siano cresciuti a ritmi molto rapidi, mettendo in difficoltà una parte delle nostre imprese. Va però ricordato come all'aumento delle quantità ha fatto riscontro un calo significativo dei prezzi, come ricordava Daniel Gros su lavoce. info. L'aumento in valore rimane nondimeno significativo: nei primi tre mesi del 2005, secondo Eurostat, le importazioni dalla Cina verso i principali mercati dell'area dell'euro sono cresciute del 47% rispetto al periodo corrispondente del 2004. Il dato più sorprendente è però un altro: nel loro complesso, le importazioni di tessili e abbigliamento dai paesi extra Ue sono diminuite. L'aumento delle importazioni dalla Cina è avvenuto quindi a scapito di altri paesi, soprattutto di quelli in via di sviluppo.
Analoghi andamenti si riscontrano per le importazioni di calzature. La crescita delle importazioni extracomunitarie non è quindi la causa precipua delle difficoltà dei nostri produttori.
In estrema sintesi, le opportunità che l'integrazione della Cina nell'economia mondiale offre ai nostri consumatori e alle nostre imprese sono sicuramente maggiori dei costi che questo processo impone ad alcuni settori produttivi. Nondimeno è essenziale che la politica economica si ponga l'obiettivo di contenere questi costi e agevolare il processo di ristrutturazione delle nostre imprese, attuando veramente le politiche di sostegno alla competitività favorendo gli investimenti in ricerca e sviluppo, quelli in capitale umano, l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, riducendo l'onere fiscale a carico delle imprese, introducendo un moderno sistema di ammortizzatori spesso promessi, ma ancora più spesso rinviati. Anche le imprese dovranno ovviamente fare la loro parte, abbandonando produzioni per le quali si è eroso il vantaggio competitivo e investendo in capitale umano e ricerca e sviluppo. Altrimenti, fra qualche anno, alla scadenza dell'accordo, il cosiddetto ½ problema cinese ? si ripresenterà con ben maggiore gravità.