un conto è quello che si vorrebbe, quello che si ritiene l'ideale, un altro conto è la realtà odierna.
Beh, mi era stato chiesto di descrivere la mia posizione, non la realtà odierna che, credo, conosciamo, e questo ho fatto.
A parte ci?, da quanto scrivi traspare una sorta di concezione del "dover essere" della realtà odierna utilizzata in modo eccessivamente giustificazionista.
E' possibile che la tua intenzione sia solo descrittiva e allora ho frainteso.
Ma siccome il discorso è partito da una mia posizione critica e non meramente descrittiva, è bene chiarirsi.
Se io sono critico nei confronti delle prassi economiche e commerciali dell'occidente industrializzato, e di chi in oriente ne ha seguito le tracce, e mentre all'interno di un paese occidentale opero per favorire le forze che lavorano per un cambiamento di rotta rispetto a tali prassi, guardo ai paesi in via di sviluppo come a una possibilità in più per tale cambiamento, quando vedo che essi fanno scelte del tutto analoghe a quelle che critico in occidente, li critico pari pari, senza distinzione.
Come ho scritto, non ho due pesi e due misure. come probabilmente chi apprezza le pessime notizie che hai dato sulla Cina.
L'esempio che hai fatto dell'open source è illuminante.
Lì si combatte una battaglia che potrà avere notevoli conseguenze sui modelli di sviluppo.
E' la battaglia per la libertà del sapere che si gioca sulla questione della tutela giuridica del software, che dipende da come il software viene considerato (cultura, merce, risorsa essenziale per lo sviluppo, oggetto di proprietà, ecc...) e che è particolarmente strategica per l'importanza che il software ha via via assunto nelle nostre società.
In nordamerica il legislatore non ha avuto dubbi (Microsoft insegna) e ha considerato il software alla stregua di un'invenzione brevettabile.
In Europa la lobby delle multinazionali americane continua a cercare di ottenere una direttiva per la brevettabilità del software, ma finora non ci è riuscita anche perché molti hanno deciso che non fosse sufficiente l'aggressività del cartello dei produttori di software "proprietario" (non open source) per abbandonare l'open source.
Non discuto la comprensibilità dell'atteggiamento di chi per timore che i suoi affari vadano male accetta di omologarsi alle logiche di un sistema dannoso ed iniquo (oltre che tutt'altro che liberistico, come dimostra il monopolismo di Microsoft), ma dico che chi fa così rinuncia ad ogni possibilità di cambiare quelle logiche, e quindi lo critico.
Perché al contrario, esistono aziende fortemente impegnate per la promozione del software open source, pubbliche amministrazioni che ne hanno deciso l'adozione, gente che ha capito che da lì passa una possibilità molto importante nella strada per costruire una società più giusta.
Per cui leggere che in Cina vi è un forte localismo nei tribunali (il che è indice di forti limiti culturali nell'amministrazione della giustizia, o di assoggettamento di tale amministrazione ad altri interessi, che è peggio) o che la Cina negozia con le multinazionali sconti sulle royalties, non rappresenta per me motivo di conforto nell'ottica che ho indicato.
Per chi nutre qualche interesse ad approfondire i termini cruciali sotto il profilo economico e culturale che la questione del software open source pone, mi permetto di suggerire due letture.
Una è costituita da un carteggio risalente al 2002, in occasione della discussione da parte del Parlamento del Perù di un progetto di legge per imporre a tutte le amministrazioni pubbliche l'uso di software open source.
Il carteggio è costituito da una lettera di Microsoft al parlamentare autore della proposta di legge, Edgar Villanueva Nunez, e dalla sua risposta, a mio parere memorabile.
Lo trovate a questo link:
http://www.interlex.it/pa/peru.htmLa seconda lettura è costituita dal libro di Pekka Himanen "L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione", edito da Feltrinelli nel 2003.
Sono stato decisamente troppo lungo, ma poiché non capita spesso vi prego di perdonarmi.