Prato era in crisi prima dell'arrivo dei cinesi - Generale - Associna Forum

Autore Topic: Prato era in crisi prima dell'arrivo dei cinesi  (Letto 2690 volte)

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ShaoYan

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« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da ShaoYan »

cavallo

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« Risposta #1 il: 11 Novembre, 2009, 10:08:48 am »
quoto shaoyan, ma la lettera era già segnalata in:


Prato: una interessante lettera al Corriere della sera

   
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cavallo
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 Inviato: Tue 10 Nov 2009, 09:09    Oggetto: Prato: una interessante lettera al Corriere della sera    

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http://www.corriere.it/solferino/severg ... -10/05.spm
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cavallo »
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thun88

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« Risposta #2 il: 11 Novembre, 2009, 11:27:23 am »
Se una ripetizione della Qi serve per dare risalto ad una buona notizia, ben venga, le regole vanno interpretate con spirito ed umanità, servono per creare armonia, non per aumentar tensioni. Altrimenti cancelliamo tutto il forum, tanto si continua a ripetere e parlare dei cinesi in Italia ;)

Sto Sergio prende in pieno la questione etica: i huaqiao (gli emigrati cinesi che hanno avuto successo) chiedono, nel Paese in cui mettono su radici, regole chiare e coerenti. Nei Paesi anglosassoni o con dietro alle spalle un alto valore dell'applicazione delle leggi, le tasse le pagano senza troppe storie, il sistema là funziona.
In Italia la maggior parte han capito che il sistema è clientelare, i controlli della GdF vanno "tu si, quello no". A volte si incazzano giustamente, perché capiscono di essere messi in secondo piano di fronte alle cose pratiche (una multa, un battibecco col commerciante affianco), mentre i ricchi con dietro i propri avvocati possono interpretare a loro modo le leggi ambigue.

Per molti cinesi di prima generazione copiare gli usi e costumi locali è la cosa più comune: non costa fatica, si seguono le regole locali che ti insegnano coi fatti quelli del posto, e non si rischia - tanto lo fanno in molti. Se dichiarano meno o non lo fanno - non lo sentono come reato: gli italiani lo fanno, e quelli più ricchi godono saltuariamente di condoni tipo lo scudo fiscale svizzero.
Nessuno vuole fare la parte del fesso.
Inutile rivendicare "la mia famiglia X paga le tasse da generazione". Non fa storia. La cosa più importante è sapere "che da ora in poi tutti pagano le tasse, nessuno escluso".
In Cina, nonostante il sistema Paese caotico che c'è, la burocrazia è coerente: sei fai quelle procedure, ottieni le cose. In Italia funziona più un'amicizia che seguire le regole.

Smettetela di puntare il dito solo sui cinesi. Prendetevi la briga di denunciare qualsiasi evasore, anche se si chiamano Gattini, Galli, Bini, Pierraccini, Vannucchi etc... (ho preso i cognomi più diffusi a Prato  :-D
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da thun88 »
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cavallo

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« Risposta #3 il: 11 Novembre, 2009, 11:47:12 am »
quoto thun, infatti nella lettera si fa giustamente notare che gli operatori economici cinesi in GB, Francia, ecc. NON EVADONO le tasse ed in Italia alcuni sì, evidentemente non in quanto Cinesi ma in quanto adattatisi ad un andazzo italico..... che distrugge il paese
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cavallo »
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kinzika

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Quoto Thun e non sono Piaggia!
« Risposta #4 il: 11 Novembre, 2009, 14:25:17 pm »
Citazione da: "thun88"
Se una ripetizione della Qi serve per dare risalto ad una buona notizia, ben venga, le regole vanno interpretate con spirito ed umanità, servono per creare armonia, non per aumentar tensioni. Altrimenti cancelliamo tutto il forum, tanto si continua a ripetere e parlare dei cinesi in Italia ;)

Sto Sergio prende in pieno la questione etica: i huaqiao (gli emigrati cinesi che hanno avuto successo) chiedono, nel Paese in cui mettono su radici, regole chiare e coerenti. Nei Paesi anglosassoni o con dietro alle spalle un alto valore dell'applicazione delle leggi, le tasse le pagano senza troppe storie, il sistema là funziona.
In Italia la maggior parte han capito che il sistema è clientelare, i controlli della GdF vanno "tu si, quello no". A volte si incazzano giustamente, perché capiscono di essere messi in secondo piano di fronte alle cose pratiche (una multa, un battibecco col commerciante affianco), mentre i ricchi con dietro i propri avvocati possono interpretare a loro modo le leggi ambigue.

Per molti cinesi di prima generazione copiare gli usi e costumi locali è la cosa più comune: non costa fatica, si seguono le regole locali che ti insegnano coi fatti quelli del posto, e non si rischia - tanto lo fanno in molti. Se dichiarano meno o non lo fanno - non lo sentono come reato: gli italiani lo fanno, e quelli più ricchi godono saltuariamente di condoni tipo lo scudo fiscale svizzero.
Nessuno vuole fare la parte del fesso.
Inutile rivendicare "la mia famiglia X paga le tasse da generazione". Non fa storia. La cosa più importante è sapere "che da ora in poi tutti pagano le tasse, nessuno escluso".
In Cina, nonostante il sistema Paese caotico che c'è, la burocrazia è coerente: sei fai quelle procedure, ottieni le cose. In Italia funziona più un'amicizia che seguire le regole.

Smettetela di puntare il dito solo sui cinesi. Prendetevi la briga di denunciare qualsiasi evasore, anche se si chiamano Gattini, Galli, Bini, Pierraccini, Vannucchi etc... (ho preso i cognomi più diffusi a Prato  :-D


Giustissimo!!!
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da kinzika »
sono responsabile di quello che scrivo non di quello che capisci tu. Anonimo(?)

ShaoYan

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« Risposta #5 il: 11 Novembre, 2009, 15:47:09 pm »
Non volevo certo rubare l'argomento a un tuo post Cavallo! Solo che non lo avevo visto.

Cmq L'ho trovato su linkedin scritto da un mio contatto. Veramente interessante!!!

Ovviamente anche l'evasione fiscale è un segno di avvenuta integrazione da parte dei cinesi alle regole locali! ahahahah :lol:
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da ShaoYan »

libero

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« Risposta #6 il: 15 Novembre, 2009, 11:36:33 am »
I cinesi di Prato: una potenziale bomba sociale

http://www.corriere.it/solferino/severg ... -15/07.spm
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da libero »

giop

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« Risposta #7 il: 15 Novembre, 2009, 12:12:55 pm »
Oltre ai toni sprezzanti della lettera segnalata dall'utente libero, copio/incollo questo commento letto in questo blog http://andreafranceschini.blogspot.com/ ... citta.html . Mi ritrovo in grandissima parte d'accordo con il contenuto del commento.

Non ho visto tutta la puntata di ôAnno zeroö perchè ad un certo punto mi sono incazzato. E’ stato quando Ruotolo, all’interno del fortilizio dell’impresa buona (con tanto di imprenditore buono) ha indicato il laboratorio cineseà: ôàeccoli lì, loro lavorano, loroàö. Il seguito non è stato migliore. Provo a spiegarmi: in ogni trasmissione televisiva (come, più sfumatamente, in ogni forma di comunicazione) c’è un messaggio ôforteö, quello che rimane; poi c’è il contorno, che, in dosi differenti, serve a fare l’ ôapprofondimentoö, il ôdibattitoö, etc. Ora il messaggio ôforteö della puntata era: ôla colpa è dei cinesi, quelli che hanno rovinato laboriosi ed onesti imprenditori e poveri operai. A questo punto non resta altro che far intervenire lo stato per dar soldi alle aziende pratesi (con relativi dipendenti) per salvarle, se non altro perché c’è un’emergenzaö. Su questo erano d’accordo destra e sinistra, indipendentemente da recriminazioni reciproche su ôcontrollo dell’illegalitàö, ôdove prendere i soldiö, etc. (In più: Santoro va a sentire la ggggggente, per cui ci si mette un bel carico di ôveritàö). Confesso che a me sembra una lettura della realtà rozza, scoopistica e, quel che è peggio, che non offre alcuna traccia di soluzione e cerca il capro espiatorio, si chiami stato o cinesi. Ancora una volta l’ ôemergenzaö.
Pur essendo un semplice passante, uno di quelli che è invisibile lì sullo sfondo, una persona che non ha nemmeno fatto chissà quali studi o approfondimenti, provo a dire qualcosa di diverso.
Per iniziare il mio sintetico discorso, credo intanto non bisogna dimenticare che c’è una ôcrisiö mondiale che in Italia trova condizioni di sommersa debolezza. Volendo sintetizzare il ôcaso Pratoö (credo rappresentativo di una realtà più vasta), potrei dire che il presentarlo fotograficamente, qui ed ora, pu? far colpo sul telespettatore, ma non lo analizza né offre reali stimoli di fattiva riflessione. I cinesi a Prato sono tanti perché Prato è sempre stata ôcineseö. Prima i cinesi erano i pratesi ed immigrati italiani. Per fortuna ho verificato che anche qualcun altro ricorda la Prato di una ventina di anni addietro, che nonè stata una mia allucinazione: il rumore dei telai era dovunque, in scantinati sotto livello strada, garage, appartamenti, capannoni simili a capanne. Controlli e condizioni di lavoro praticamente impraticabili: una miriade di conto-terzisti a cui si davano commissioni ôvolantiö, ôfammi tot pezze di tessuto per domanià senno’ vado da un altroàö, lavoro a ciclo continuo di ôartigianiö che campavano di commesse di grossi committenti, lavorando a ciclo continuo ed in famiglia (bambini compresi). Controlli? Vuoi perseguitare il nerbo dell’industria italica? Gli incidenti sul lavoro erano la norma: nel film ôMadonna che silenzio c’è staseraö di Francesco Nuti c’è il protagonista che guarda con una certa preoccupazione al fatto che a molti mancano dita e qualcosa in più ed inoltre sono tutti duri di orecchie e la cosa non viene dettagliata oltre, semplicemente perché non c’era bisogno di tante spiegazioni. Si sapeva tutti. Il ôsistema Pratoö (di cui ci si vantava venisse studiato all’esteroà), flessibile, agile ed al contempo paternalista, con tonnellate di straordinari e prebende varie ôregalateö (rigorosamente al nero), produceva tessuti, una parte di una certa qualità ed in altra parte ôcardatoö, lane rigenerate, etc. Il tutto reggeva soprattutto sulla velocità, bassi costi di produzione, ôagilitàö imprenditoriale. Chiunque avesse più fame dei pratesi l’avrebbe potuto fare. Ed arrivano i cinesi. Ma prima dei cinesi erano già arrivati (magari senza fisicamente venire qui) i tunisini, l’europa dell’est, addirittura l’america latina e gli iberici (a cui i pratesi si premuravano di vendere macchine tessili usate con annesso istruttore italiano che in qualche settimana insegnava a ôfar andare i telaiö).
Ma c’è un altro aspetto ancora: il WTO, contro cui ora si scagliano tutti. Qui il discorso diventerebbe lungo, ma preferisco sottolineare un solo aspetto: sono passati, ad oggi, otto anni dall’entrata della Cina nel WTO. Otto anni. Sottolineo: otto anni. (forse vissuti come in "Fughe da fermo" di Nesi?). Vendite e potenza di Pc, telefonini, etc. sono schizzate in alto, tutti felici (siamo un popolo di cellularizzati, ai vertici delle classifiche mondiali e tutti contenti celebriamo le gesta del nostro nuovo PC...). Cecchi proponeva di impedire le importazioni...anche quelle di PC, telefonini, elettronica varia?. La mitica piccola e media industria ha stiracchiato per un po’ ancora, con scarpe, commesse della grande industria, e telai. Si iniziava a parlare di ôsocietà della conoscenzaö, di innovazione, di hi-tech, ma niente di concreto. A Prato si moltiplicavano ditte edili (siamo credo al 28% delle aziende) e sportelli bancari o finanziarie. Si investiva nel mattone e titoli. Basta farsi una passeggiata, in centro o periferia: nuove case e banche dovunque. La barca andava e, italianisissimamente, ôfinchè la barca vaàö. Chi ha investito in formazione e innovazione? Basta lavura’? Tutti, in pratica, urlavano all’ ôemergenzaö, alla politica del giorno per giorno. I cinesi di Prato lavoravano per un tozzo di pane ai margini della ôfilieraö. Poi hanno preso in mano quasi l’intera filiera. Per un tozzo di pane. Ora comprano i semi-lavorati in Cina. I pratesi fittano capannoni, appartamenti, consulenze a prezzi esorbitanti. I cinesi pagano in contanti. Cash (mi sembra si dica così). Per otto anni. Ogni tanto, giusto per gradire, si mugugnava contro i cinesi e si parlava di ôinnovazioneö, territorio, prodotti tipici, ma di fatto nessuno manco ci credeva.
Ora il casino è scoppiato. Ora si invoca cassa integrazione e blocco dei crediti bancari. Più soldi per continuare come prima. Anche ora: emergenza.
Qui, nel frattempo, ci mettiamo ad organizzarci per i pogrom anti-cinesi. Tutti insieme, imprenditori e sindacati.
Noterella
Secondo il locale giornale ôIl Tirrenoö ci sono un paio di simpatici ôdietro le quinteö
- Il magazzino ôcineseö inquadrato (öàloro lavoranoöà con tanto di sgranatura dell’immagine, come e fosse stata avventurosamente carpita da un eroico reporter di guerraà) non è cinese, ma italiano. Il capannone cinese c’era, ma alcune centinaia di metri più in la’, e la distanza non avrebbe permesso l’ effettaccio. Resta la curiosità: ma nel magazzino cinese vero, le luci erano accese o spente in quel momento? In quello italiano chi aveva acceso le luci e perchè?
- Quando l’imprenditore Cecchi (quello che si brancicava Ruotolo, amico di Santoro, amico di tutti) parla male del made in Italy e delle aziende che lo fanno in Tunisia, in prima fila c’era un industriale pratese il cui figlio fabbrica in Tunisia ed ha subito un processo per il marchio ômade in Italyö.
ôIl Tirrenoö non è una testata xenofila o no-global.
P.S.: non sono cinese.
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da giop »

cavallo

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« Risposta #8 il: 15 Novembre, 2009, 13:28:55 pm »
quoto al 200% e ricordo Prato nel 1979, esattamente come descritta nella lettera.... e peggio (e senza alcun cinese)
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cavallo »
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