http://affaritaliani.libero.it/economia/prati-crisi-del-tessile030112.html?refresh_ceImprenditori e semplici operai, arrivano o partono a seconda della disponibilità di lavoro, verso il centro toscano o altre città italiane. In un anno accertate quasi mille irreperibilità di cinesi formalmente residenti (su meno di 13 mila) La crisi delle aziende asiatiche nel centro toscano del tessile è dovuta anche alla concorrenza del “Made in China”. Ma la mobilità dei lavoratori (e consumatori) cinesi ora preoccupa per l’impatto sull’economia locale
Martedì, 3 gennaio 2012 - 11:42:33
Trascinandosi dietro piccoli trolley, si vedono scendere alla stazione di Prato, camminare lungo le strade della città. Come si può partire dalla Cina con un bagaglio così piccolo? La risposta è semplice:non arrivano dall'altra parte del mondo, ma da altre città d'Italia. La mobilità della manodopera è riconosciuta come uno degli assi nella manica dell'imprenditoria cinese a Prato, capace di richiamare forza-lavoro attraverso una rete di passa parola. Arrivano gli ordini dai clienti, arrivano le braccia capaci di esaudirli. Finito il lavoro sono pronti a ripartire. Magari nascosti nel cono d'ombra della loro presenza illegale sul territorio nazionale e del lavoro nero, in barba a chi vorrebbe contarli, inquadrarli, regolarizzarli.
Molta della presenza cinese a Prato rientra in questi casi. Quale sia la percentuale sul totale dei residenti registrati può essere frutto solo di stime approssimative. Ma non sono estranei a questa logica neppure i 12.940 cittadini di origine cinese iscritti all'anagrafe comunale al 30 settembre 2011. Li accomuna la stessa motivazione di fondo: sono partiti in cerca di fortuna, se a Prato i soldi non li fanno più si spostano da un'altra parte. Secondo il Dossier Statistico Sociale 2011 prodotto dalla provincia di Prato, nei 7 comuni pratesi al 31 dicembre 2010 abitavano 33.874 stranieri, pari al 13,6% dei residenti totali (nel 1996 erano il 2%). Il 39% degli stranieri erano cinesi.
All’1 gennaio 2011 in provincia di Prato i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro erano il 66,5% deltotale, un dato più alto rispetto a Toscana e Italia (in entrambi i casiintorno al 55%). Oltre vent'anni fa la città toscana ha cominciato a esseremeta dell'immigrazione cinese perché l'economia era forte, offriva molte opportunità e loro erano benvenuti o almeno ignorati. Ora i tempi delle vacche grasse sono finiti, il comparto tessile è a pezzi e la crisi sta arrivando anche alle confezioni, un settore della produzione pratese storicamente marginale, occupato e potenziato in questi anni proprio dagli imprenditori cinesi. Dal 2001 al 2010 il settore manifatturiero nella provincia di Prato è passato da 46.000 a 33.000 occupati.
L’Istat stimava a fine 2010 circa 8.400 persone in cerca di occupazione, pari a un tasso di disoccupazione del 7,2% a fronte di un dato medio toscano del 6,1%. E sono dati che riguardano quasi esclusivamente gli italiani. Le imprese cinesi sono riuscite a vivere e prosperare più a lungo, ma anche per loro è arrivato il momento della crisi. Le ultime cifre ufficiali, diffuse a gennaio 2011 dalla Camera di Commercio pratese, indicavano in 3.570 le aziende di imprenditori cinesi attive in provincia nel solo settore manifatturiero e un trend ancora in crescita. Ma l'aumento era già ridimensionato rispetto all'anno precedente e i dati esaminati risalgono al 31 dicembre 2009. E arrivano segnali di movimento non solo tra la "manovalanza". Negli ultimi 11 mesi la polizia municipale ha accertato oltre 1.000 casi di irreperibilità tra gli stranieri residenti nel comune di Prato, il 90% dei quali tra cinesi. Nuclei familiari che potranno essere cancellati dall'elenco dei residenti solo il prossimo anno, ma che già non abitano più in città.
L'ESODO DEI CINESI - Il resto d'Italia. O l'Europa del nord. Sembrano queste le mete preferite dai cittadini cinesi che lasciano Prato. Sono noti i casi di imprenditori che hanno già spostato le aziende in altre regioni italiane, sia a nord che a sud, come conseguenza della pressione delle forze dell'ordine sulle imprese di proprietà cinese contro le irregolarità che garantiscono un abbattimento dei costi tale da creare concorrenza sleale. Oppure nei Paesi del nord Europa, dove l'economia è più forte. E' invece una novità leggere sull'edizione on line del Global Time, quotidiano di Pechino in lingua inglese, un'inchiesta sulla tendenza al ritorno in patria degli imprenditori cinesi a Prato (definita nel titolo il "cortile cinese d'Italia"), presa a esempio dell'escalation del debito pubblico europeo. A sostegno di questa tesi, l'inviato di Pechino porta come concause sia gli straordinari cambiamenti in corso in Cina, sia difficoltà locali di altro genere.
Ma forse il giornalista del Global Time si è lasciato un po' trascinare dal patriottismo. Non si torna indietro facilmente se i figli sono nati qui (al 30 settembre 2011, dei 12.940 cittadini di origine cinese iscritti l'anagrafe comunale 2.011 lo sono dalla nascita). E non si torna indietro se non si è diventati ricchi. In Cina come altrove, nessun immigrato vuol essere considerato un "perdente", uno che non ce l'ha fatta. Meglio rimanere in Italia a lavorare 15 ore al giorno per guadagnare 700-1.000 euro al mese: la metà equivale a 4-5 stipendi in Cina ed è una bella cifra da mandare mensilmente ai familiari rimasti a casa. Rinunciarvi non è semplice. Ci si sposta, questo sì, sempre alla ricerca della fortuna. E così anche da Prato ci si può muovere per motivi e direzionidifferenti.
Non ci sono ancora dati ufficiali, il "tempo reale" si nutre delle voci della strada. I rumors italiani sono concordi: "Stanno diminuendo". Lo confermano i gestori di un bar in via Pistoiese e di una tabaccheria in via Strozzi, nel centro del quartiere cinese, che insieme alle loro impressioni di commercianti riportano i discorsi dei clienti orientali: cominciano a essere in crisi le piccole imprese, proprio quei laboratori diconnazionali che insieme alla manodopera "a chiamata" garantivano l'elasticità della produzione e la pronta risposta alle esigenze del mercato. Non hanno fatto in tempo a fare fortuna a Prato e adesso sono pronti a spostarsi. Tra i motivi della crisi, c'è anche il paradosso della concorrenza dei prodotti confezionati in Cina, che nonostante il costo del trasporto riescono a mantenere prezzi più bassi del "China made in Italy". Sempre di più sbarcano container di abiti finiti, dove finora arrivavano in gran parte container di tessuti a maglia.
Erano il cuore di un business cavalcato per anni da importatori pratesi: comprare tessuti a stock dai cinesi in Cina e rivenderli al dettaglio ai cinesi a Prato. Anche loro avvertono un calo delle vendite. La tanto teorizzata economia "parallela" degli immigrati cinesi, di fatto "parallela" non è mai stata. Se ne stanno rendendo conto anche i pratesi più ostili verso un'immigrazione così massiccia e l'auspicata "sparizione" dei cinesi dal territorio non è più un sogno, ma un incubo: quale sarebbe l'impatto sull'economia locale? I 12.940 cittadini pratesi di origine cinese non acquistano solo nei negozi dei connazionali. Sono appassionati consumatori di beni di lusso, dalle auto ai cellulari, dai prodotti griffati ai vini toscani, per la gioia dei commercianti della città. Pagano l'affitto per capannoni che senza di loro sarebbero vuoti, pagano fornitori e servizi per le loro attività imprenditoriali (dal commercialista all'istituto di vigilanza), pagano prodotti venduti nei negozi del centro storico e in italianissimi supermercati. Un esempio dall'Unicoop pratese: uno su quattro dei nuovi associati nel 2011 è cinese, in totale hanno già superato la soglia dei 4.000.