caratterizzazione di vetrine e spazi commeciali cinesi in It - page 1 - Attualità - Associna Forum

Autore Topic: caratterizzazione di vetrine e spazi commeciali cinesi in It  (Letto 7520 volte)

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cavallo

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caratterizzazione di vetrine e spazi commeciali cinesi in It
« il: 23 Aprile, 2007, 13:49:29 pm »
Uno degli argomenti usati per criminalizzare in Italia l'intera comunità cinese é quello che esalta e sottolinea la sua "chiusura". Un'indagine svolta nel Rione Esquilino da un gruppo di antropologi  ("Esquilino Plurale") e di orientalisti (dell'Associazione "VersOriente") romani nel 2005 e presentata a novembre di quell'anno presso la Facoltà di Studi Orientali dell'Università "La Sapienza" di Roma (che si trova proprio all'Esquilino) ha tra l'altro messo in evidenza i punti seguenti relativi ale forme in cui sono organizzate le vetrine e gli spazi dei negozi cinesi, non solo di abbigliamento e calzature (di cui é nota la funzione prevalente di show-room) ma anche di alimentari:
1. Non si realizza alcun entativo di attrarre clienti (Cinesi o Italiani) attraverso offerte speciali o una cura delle vetrine che le rendano attrattive o spazi dedicati a tipologie particolari di prodotti come invece pure avviene nei negozi consimili a Beijing (dove ad esempio è stata documentata fotograficamente da "VersOriente" la creazione di "angoli del té" e l'uso di elementi decorativi radizionali anche nei supermarkets);
2. Non si realizzano iniziative promozionali, tanto meno in rapporto con i pur presenti ristoranti cinesi (ad esempio: degustazioni, settimane di cucina, ecc.), né presenze organizzate che uniscano aspetti culturali e commerciali in iniziative interculturali che pure si svolgono sistematicamente all'Esquilino;
3. Non si nota alcuno sforzo (a differenza di quanto in parte fanno i ristoranti cinesi) per evidenziare gli elementi storici, culturali, tradizionali cinesi nelle vetrine e negli spazi espositivi dei negozi, anche quando la vendita dei prodotti lo permetterebbe (esempio: té, cermiche, oggettistica, abiti che riprendono modelli tradizionali, fiori artificiali, ecc.).
4. Non si realizza alcuna iniziativa proposta dalla comunità cinese (o dalle sue Associazioni) in rapporto con la facoltà di Studi Orientali dell'Università, pure situata in quel Rione, né coi suoi studenti (che risultano a loro volta apatici rispetto alla ricca realtà cinese del Rione ed alle occasioni di approfondimento linguistico e culturale che tale presenza offrire).

Questi elementi portano alle seguenti conseguenze:
a. impediscono di sfruttare al massimo il potenziale economico di certe merci e della propria presenza nella città (ad esemio, a Roma la catena italiana di negozi di prodotti "esotici" CASTRONI vende anche a 4 volte il prezzo praticato dai Cinesi i prodotti erboristici, alimentari e le bevande cinesi, ma i Cinesi non sviluppano alcuna campagna promozionale per attirare gli acquirenti romani che pure avrebbero facile accesso al'Esquilino grazie alla metropolitana);
b. rafforzano le barriere umane e culturali fra Cinesi e Italiani e favoriscono gli stereotipi anticinesi, anche impedendo di comprendere quanti elementi della quotidianeità italiana hanno in effetti una origine storica cinese.

L'analisi mostra anche come tra le cause di questa sottovalutazione di grandi opportunità di dialogo, di interazione e anche di guadagno (il valore immateriale di certe merci-simbolo, come il té, i prodotti erboristici, le ceramiche, taluni prodotti di oggettistica, pu? infatti trainare l'immagine dell'intero commercio cinese!) insite in un trattamento differente degli spazi commerciali e delle vetrine (che sfrutti anche le mode esotistiche difuse in Occidente) vi siano i seguenti elementi:
- scarsa conoscenza della lingua italiana da parte dei commecianti in rapporto alla preparazione di materiali priomozionali scritti (ma la cosa potrebbe essere in parte risolta con l'aiuto dei Cinesi di seconda generazione e di Italiani interessati a collaborare);
- scarsa consapevolezza da parte dei commercianti cinesi dell'importanza del valore "esotico" di certe merci (alimentari e oggetistica) e del vantaggio d'immagine complessiva per tutta la comunità commerciale cinese di esaltare tali valori (ma vale la considerazione precedente su possibili soluzioni);
- scarsa conoscenza da parte dei Cinesi impegnati duramente nel Commercio degli elementi della Storia cinese e dei suoi raporti con quella italiana ed europea collegati a taluni prodotti (ma si potrebbe dar vita ad iniziative congiunte di approfondimento).

Cosa aspettiamo per cominciare assieme, Cinesi ed Italiani, ad agire per mutare questa realtà?????????
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« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cavallo »
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Giorgio

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« Risposta #1 il: 23 Aprile, 2007, 14:08:02 pm »
Purtroppo se non si vede uscire i soldi, non si farà granchè...
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da Giorgio »

cavallo

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valore immateriale
« Risposta #2 il: 23 Aprile, 2007, 14:25:51 pm »
Giorgio, se si tratta di "soldi", voglio farti notare che anche  semplicemente su google (non dico nei corsi di marketing, di economia, ecc.) puoi trovare centinaia di  pagine dedicate al VALORE IMMATERIALE DELLE MERCI ed in particolare a quello collegato alle mode "esotiche". Ti chiedo: perché il té che vende un supermercato cinese all'Esquilino a Roma, senza alcuna promozione e sena collegarlo alla millenaria culura cinese del té, la ditta italiana CASTRONI vicino Via Ottaviano lo vende ad un prezzo 4-5 volte maggiore grazie al fatto di essersi fatta conoscere come quella specializzata nei prodotti etnici?  Perché ci sono negozi italiani che espongono in accurate vetrine che grondano elementi "orientali" normalissime ciotole di ceramica cinesi e le vendono a 5-6 volte il prezzo praticato nei negozi cinesi, le cui vetrine spesso sono di una povertà d'immagine tremenda?
Non pensiamo che i soldi si facciano anche (talora soprattuto: vedi profumi e spumanti francesi rispetto a quelli italiani, che costano molto di più pur non essendo di qualità superiore ma perché inglobano la "francesità"!!!) valorizzando le tradizioni, la storia, ecc.?
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anatra82

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« Risposta #3 il: 23 Aprile, 2007, 14:39:06 pm »
Citazione
cavallo Inviato: Mon Apr 23, 2007 2:25 pm    Oggetto: valore immateriale

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Giorgio, se si tratta di "soldi", voglio farti notare che anche semplicemente su google (non dico nei corsi di marketing, di economia, ecc.) puoi trovare centinaia di pagine dedicate al VALORE IMMATERIALE DELLE MERCI ed in particolare a quello collegato alle mode "esotiche". Ti chiedo: perché il té che vende un supermercato cinese all'Esquilino a Roma, senza alcuna promozione e sena collegarlo alla millenaria culura cinese del té, la ditta italiana CASTRONI vicino Via Ottaviano lo vende ad un prezzo 4-5 volte maggiore grazie al fatto di essersi fatta conoscere come quella specializzata nei prodotti etnici? Perché ci sono negozi italiani che espongono in accurate vetrine che grondano elementi "orientali" normalissime ciotole di ceramica cinesi e le vendono a 5-6 volte il prezzo praticato nei negozi cinesi, le cui vetrine spesso sono di una povertà d'immagine tremenda?
Non pensiamo che i soldi si facciano anche (talora soprattuto: vedi profumi e spumanti francesi rispetto a quelli italiani, che costano molto di più pur non essendo di qualità superiore ma perché inglobano la "francesità"!!!) valorizzando le tradizioni, la storia, ecc.?
 


Cavallo non è che non ci si guadagni ma guarda quelli che hanno i negozi chi sono.
La generazione dei nostri genitori non conosce molto bene il marketing anche se hanno il lavoro e il guadagno nel sangue, ma tutta al piu hanno fatto le elementari e massimo massimo le medie.
Quella che vuoi proporre te è una strategia di marketing orientata verso la conoscenza della nostra cultura, ma di fatto neanche noi conosciamo molto bene quel valore se i nostri genitori non hanno il tempo materiale per insegnarcelo.

Io ho consigliato ai miei come sfruttare quello che gli altri cinesi non sfruttano ma avendo gia piu di 45 anni non sono piu interessati a realizzare grandi cose o a tentare altre vie con risultati incerti.

Giorgio dice bene se vediamo che non cè un guadagno immediato non siamo propensi a provarci neanche. Sta qui il compito nostro ormai siamo diversi dai nostri genitori tentiamo di organizzare qualcosa che valorizzi la cultura cinese ma per farlo ci vogliono i soldi, conoscenza e tempo
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da anatra82 »

BlackPepper

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« Risposta #4 il: 23 Aprile, 2007, 14:52:44 pm »
Cavallo ha proposto delle gran belle cose, ma per i motivi che hanno esposto Giorgio e anatra è molto difficile realizzarle.
Ma più che prima generazione secondo me il problema sta nel fatto che la maggior parte dei cinesi che hanno un esercizio commerciale all'Esquilino proviene da una provincia della Cina, ovvero lo Zhejiang, in cui gli abitanti sono conosciuti più come gran lavoratori che come sostenitori della cultura e dell'integrazione... in poche parole non è nel loro DNA questo modo di fare  :?
Ci? non toglie però che le seconde generazioni possano dare una grossa spinta in questa direzione  :D  Ci serve organizzazione e soprattutto conoscenza della situazione e delle esigenze sia da parte dei commercianti cinesi che da parte dei consumatori italiani.
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da BlackPepper »
Sorridi sempre anche se il tuo sorriso è triste, perchè più triste di un sorriso triste c´è la tristezza di non saper sorridere. - J.M.

anatra82

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« Risposta #5 il: 23 Aprile, 2007, 15:04:00 pm »
Citazione
BlackPepper Inviato: Mon Apr 23, 2007 2:52 pm    Oggetto:  
 Ma più che prima generazione secondo me il problema sta nel fatto che la maggior parte dei cinesi che hanno un esercizio commerciale all'Esquilino proviene da una provincia della Cina, ovvero lo Zhejiang, in cui gli abitanti sono conosciuti più come gran lavoratori che come sostenitori della cultura e dell'integrazione... in poche parole non è nel loro DNA questo modo di fare  


Non è proprio così, il fatto è che la generazione dei nostri è cresciuto durante la rivoluzione culturale, per cui la scuola per moltissimi di loro è stato interrotto a favolre del apprendistato del lavoro.
Mia madre che ha continuato negli studi cmq riesce a trasmettermi quel qualcosa che mio padre non riesce in quanto non sa.

Il Zhejiang oltre a fornire ottimi lavoratori come vale per tutta la cina ha offerto in passato anche filosofi e scrittori d'elit nell'impero Qing, A ruian cè una statua in bronzo che ricorda uno di questi personaggi, e la sua casa è diventato il giardino piu antico della città.
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da anatra82 »

cavallo

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« Risposta #6 il: 23 Aprile, 2007, 15:08:42 pm »
So bene che per la generazione che "ha i negozi" ci sono difficoltà culturali a capire i criteri di iniziative che pure porterebbero PIU' SOLDI e anche MIGLIORE IMMAGINE per la comunità e quindi meno difficoltà, anche se mi pare strano che non si faciano neppure le cose che si fanno invece a Beijing, come creare "angoli" (con in mostra teiere e simili) per certi prodotti-testimonial (tipo il té) o mettere lampioncini ed altro per rendere più attraenti i locali (come fanno i ristoranti).
ma credo ci siano altri due prblemi:
1) quanto queste persone ascoltano i loro figli?
2) cosa fanno le Associazioni dei Commercianti Cinesi e cosa le Associazioni italiane che si ocupano di intercultura (e, alsquilino a Roma, la Facoltà di Studi Orientali dell'Università, col suo "Centro Confucio" finanziato direttamente dal Governo cinese)?

Riguardo al punto (1), se i genitori ascoltano i figli (e magari vanno pure a vedersi le vetrine, gli spazi commerciali ed i prezzi dei prodotti di qualche "negozio etnico" italiano...) ci sono modifiche REALIZZABILI A COSTO ZERO.
Ad esempio:
a) mettere in vetrina e nel negozio (anche se vende abbigliamento moderno o scarpe), assieme ai prodotti in vendita anche oggetti che rimandino alle tradizioni cinesi (vasi di ceramica, dragoni, lampioncini, ecc., tanto più in quei negozi che li hanno in vendita) e con riproduzioni di stampe cinesi, di foto di paesaggi cinesi, ecc.;
b) addobbare gli spazi commerciali con elementi della tradizione cinese in occasione delle feste cinesi ed italiane;
c) creare "angoli" del negozio (specie se é di alimentari o di oggettistica) destinati a prodotti di grande tradizione culturale cinese (ceramiche, té, ecc.);
d) realizzare iniziative promozionali (degustazioni alimentari, anche in collegamento coi ristoranti, ecc.).

Riguardo al punto (2), ad Esquilino (Roma), nel 2004, l'organizzazione di una "settimana della gastronomia" (che coinvolse quella parte che volle patecipare dei negozi alimentari cinesi, bangladeshi, indiani  ed italiani e dei ristoranti, cinesi, italiani, coreani, indiani, pakistani e bangladeshi) é stata effettuata solo ad opera del Municipio I del Comune e di un anropologo che faceva da consulente; perché le Associazioni dei Commercianti Cinesi non oganizzano cose simili, il cui costo si riduce a locandine e volantini?

Non si tratta affatto, a 40-50 anni, di realizzare  grandi cose, ma piccoli mutamenti che facciano percepire a tutti, Cinesi ed Italiani, alcuni negozi cinesi come luoghi più attraenti: i risultati (d'immagine, di rapporti con gli Italiani non razzisti, di guadagno economico) non tarderebbero a venire.

Oltre tutto, sarebe assurdo perdere la grandissima occasione delle OLIMPIADI 2008 e non credo che si debba dare né un'immagine di una Cina tutta piegata sul pasato (tutta "tradizione"), né, però, quella di na Cina rappresentata solo dai nuovi grattacieli di Shanghai e dagli splendidi impianti olimpici avveniristici, ma quella di una realtà che coniuga i due aspetti.

Per fare questo non credo ci voglia moltissimo!
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anatra82

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« Risposta #7 il: 23 Aprile, 2007, 15:38:02 pm »
i negozi di abigliamento so tutti ingrosso quindi non sono interessati a clienti normali, ma hanno clienti loro che entrerebbero anche se fosse un buco 2mX3m.

Per quanto riguarda gli alimentari lì è un problema gestionale dei vari negozi, molte volte anche di spazio che è poco.

altre cose non so cosa dire anche tu hai raggione ma non si pu? fare tutto se alcuni non sono d'accordo, se uno di noi lo fa e ci guadagna allora anche gli altri lo faranno
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BlackPepper

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« Risposta #8 il: 23 Aprile, 2007, 15:45:19 pm »
Come dici tu dopotutto queste cose che hai elencato non sono difficili da realizzare. Pensandoci e ripensandoci, credo che alla comunità cinese, di Roma in questo caso, manchi una buona leadership che sia in grado di organizzare e portare avanti questi "mutamenti".
In realtà i negozianti cinesi dell'Esquilino non è che manchino di disponibilità o volontà, anzi, ho visto che in alcune occasioni si sono dimostrati molto collaborativi. Il trucco sta nel riuscire a coinvolgerli, una volta che hai convinto una buona metà la parte restante aderirà senza fare storie per "solidarietà"

Quanto ai negozi di Beijing direi che non c'è confronto, nel senso che qui in italia i negozi cinesi hanno una clientela diversa e anche una concorrenza diversa, per questo il più delle volte, almeno fin'ora, non ha il bisogno di adottare strategie di marketing così affinate.

Citazione da: "anatra82"
Non è proprio così, il fatto è che la generazione dei nostri è cresciuto durante la rivoluzione culturale, per cui la scuola per moltissimi di loro è stato interrotto a favolre del apprendistato del lavoro.
Mia madre che ha continuato negli studi cmq riesce a trasmettermi quel qualcosa che mio padre non riesce in quanto non sa.
Il Zhejiang oltre a fornire ottimi lavoratori come vale per tutta la cina ha offerto in passato anche filosofi e scrittori d'elit nell'impero Qing, A ruian cè una statua in bronzo che ricorda uno di questi personaggi, e la sua casa è diventato il giardino piu antico della città.

Io invece penso che sia dovuto al livello di scolarizzazione, ma piuttosto di cultura locale. Il lato positivo è che se ad un progetto aderisce una buona parte, il resto viene da sè, con l'aiuto anche del passaparola.
« Ultima modifica: 24 Aprile, 2007, 10:01:08 am da BlackPepper »
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differenze tipologiche negozi
« Risposta #9 il: 23 Aprile, 2007, 21:59:13 pm »
BlackPepper ha ragione sui negozi di abbigliamento (e scarpe, aggiungerei), ma io ho, infatti, sottolineato che le mie idee riguardavano essenzialmente i negozi di alimentari e di ogettistica e quelli che - ce ne sono al'Esquilino a Roma - vendono anche capi di abbigliamento in stile tradizionale cinese. Ha anche ragione sul fatto che "il trucco sta nel coinvolgere i negozianti" ma non redo neppure che serva raggiungere rapidamente il 50%: penso potrebbero iniziare anche solo 4-5 in una città (ad esempio Roma)che darebbero l'esempio e poi se si verificasse un aumento delle vendite ma anche dell'interesse (e dell'atenzione più rispettosa)  degli Italiani, allora la notizia da un lato si diffonderebbe col passa-parola, dall'altro diventerebbe argomento di discussione seria nelle Associazioni Cinesi.
Da dove partire per fare concretamente qualcosa in  4-5 casi, ad esempio a Roma? Beh io faccio qualhe proposta concreta, non frutto di invenzioni a tavolino, ma di 1 anno di analisi di un gruppo che allora era di 4 antropologi, nel 2005, all'Esquilino:
A) si pu? propore la riqualificazione delle vetrine e di qualche angolo di alcuni negozi alimentari all'Esquilino che ne hanno di  lasciati in stato di semi-abbandono (ad esempio quello a Via Principe Eugenio, senza far nomi...), usando elementi decorativi tradizionali cinesi e agiungendo cartelli che valorizzino certi prodotti-testimonials (té, ginseng, riso, ecc.);
B)  si possono valorizzare maggiormente, nei negozi alimentari che vendono anche stoviglie ed oggettistica (all'Esquilino, ad esempio, quello a Via Principe Eugenio, quello sotto i portici della Piazza Vittorio, quello a Via Carlo Alberto), le stoviglie di ceramica e l'ogettistica di stile tradizionali, esponendoli in vetrina (e facendone elemento decorativo della stessa) e/o organizzando "angolini" con tavolinetti apparecchiati;
C)  si possono organizzare in questi negozi "angoli" destinati alla promozione di determinati prodotti, sia attraverso ambientazioni adeguate(usando i tavolinetti di cui al punto precedente,  foto e riproduzioni di stampe e cartelli divulgativi in Cinese, Inglese ed Italiano affissi magari su paraventi in bambu), sia attraverso degustazioni temporanee da pubblicizzare con cartelli all'entrata;
D) si possono fare simili azioni anche nelle erboristerie e nei negozi che vendono solo oggettistica, o anche abiti e borsette in stile tradizionale  magari non quelli finalizzati essenzialmente all'ingrosso (come a Via Principe Umberto all'Esquilino), ma  del tipo di quello a Via Napoleone III all'Esquilino), o anche bigiotteria con elementi decorativi tradizionali (fiori, farfalle, ecc.) o tecniche tradizionali (ad esempio il cloisonné);
E) si possono infine prendere accordi fra uno o più negozi alimentari ed uno o più ristoranti per realizzare asieme "settimane" dedicate a particolari cibi e ricette e stampare volantini promozionali in Italiano ed in Inglese (lingua parlata dalla maggioranza degli altri migranti presenti all'Esquilino di Roma: Indiani, Bangladeshi, Pakistani, ecc.; in altre zone di Roma o in altre città si pu? fare lo stesso in altre lingue) con tali ricette.
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cavallo »
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cilex

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« Risposta #10 il: 24 Aprile, 2007, 09:47:07 am »
per cavallo: io penso che questi pensieri, siano filosofici,  e non pratici. penso che stai cercando di fare economia con la filosofia...... per fare economia bisogna essere economisti e tale bisogna pensare, se poi nel caso c'è bisogno anche di quello che pensi te.
Non sono i commercianti a fare economia e nemmeno i manager,... sono i clienti, se avessi fatto i corsi di manager, la prima cosa che ti insegnano è il cliente. è lui che bisogna analizzare. il romano medio.... secondo te il romane vuole quello??? io penso che le prime generazioni non debbano fare come dici te, andrebbero in bancarotta si ritroverebbero in strada a fare la fame. Le seconde generazioni che vorranno continuare con le attività di famiglia, analizzeranno il mercato vigente.... pensa alle corporation e allo sviluppo sostenibile, è il cliente che chiede questo e non perchè da un giorno all'altro ci siamo svegliati e vogliamo buttare soldi nel sociale. Il mercato non segue le leggi del sociale........ la maglietta della nike la vuoi perchè si fa pubblicità, ma vuoi che costi poco... ma non te ne importa tanto se il bambino africano l'ha fatto e con quello non è potuto andare a scuola...........
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da cilex »
Non lasciatevi scoraggiare da coloro che delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi ed autentici del loro Cuore!!!

Giovanni Paolo II 16.X.1978 - 2.IV.2005

cavallo

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« Risposta #11 il: 24 Aprile, 2007, 12:25:32 pm »
per cilex: scusami ma io ho lavorato per molto tempo su progetti di valorizazione socioeconomica e penso che tu conosca poco le tendenze in atto. Ci sono fior di Convegni, che forse tu non conosci (puoi trovare molto materiale anche solo su google), dove esperti di marketing spiegano che il VALORE IMMATERIALE é e sta sempre più diventando FONDAMENTALE nella formazione dei prezzio e nella conformazione dei profitti e per VALORE IMMATERIALE sai cosa si ntende soprattutto? L'insieme degli elementi culturali e storici di origine del prodotto! Hai ragione che bisogna analizzare i clienti: é proprio quel che mi pare tu (e purtroppo tanti commecianti cinesi) con fai. Tu puoi credere benissimo he i Romani medi non sono sensibili al VALORE IMMATERIALE ma intanto il concetto di "cliente medio" é del tuto superato ed oggi si agisce per targets differenziati, si parla di segmenti di mercato e di "nicchie" di mercato e poi basterebbe che tu ti facessi un giro per i negozi "etnici" che ci sono a San Giovanni, a Viale Libia, o valutassi l'afflusso dei Romani a mostre-mercato come Natale Oggi o ti chiedessi perché in 10 anni i negozi del Commercio Equosolidale a Roma sono passati da 3 a 15 per capire che esiste un segmento di mercato non più di nicchia, a Roma, che comprende decine di migliaia di clienti fissi e qualche centinaio di migliaio occasionali e che si fa guidare dai VALORI IMMATERIALI anche nella scelta di un té, di una tisana, di un riso, di una ciotola di ceramica. Oltre tutto, anche se quel segmento é minoritario, ha due caratteristuche essenziali: ha più disponibilità economica in assoluto (o più disponibilità economica relativa perché seleziona culturalmente come usare il suo denaro) di altri settori più numerosi ed é più forte fra i giovani,  clienti del futuro. Se non sei convinto, vatti a vedere il negozio di panetteria di Panella, a Via merulana (ai margini dell'Esquilino), sempre pieno nonostante pratichi prezzi gonfiati, perché valorizza le tradizioni del pane delle varie regioni italiane, perché ad ogni festa fa i dolci regionali tipici e perché sponsorizza una "Festa del Pane" tutti gli anni in cui presenta pure i pani consumati dagli antichi Romani. E' vero che in questo l'Italia é indietro rispetto ad esempio alla Francia, ma non é una buona ragione per voler restare anche più indietro dell'Italia. Chi non lo capisce ora fa solo il gioco degli speculatori dele grandi catene commerciali (che in Italia sono quasi tutte francesi e in subordine tedesche, tranne la COOP) i quali fanno da apripista agli investimenti di ditte come "Maison Coloniale", "Occitaine" ed altre che sfruttano gli spazi vuoti laciati dagli altri.
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goldendragon

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« Risposta #12 il: 24 Aprile, 2007, 15:44:33 pm »
scusate ma Castroni é una referenza a Roma per quel che riguarda spezie/droghe o roba poco reperibile: i romani pensano che se qualcuno ce l'ha quello é Castroni. Ed effettivamente Castroni é ben fornito.

Non é solo una questione di avviamento/nome, é anche una questione di modalità d'acquisto: Castroni (e bar) vende un po' di tutto e quindi c'é anche la comodità (che si paga ovviamente) di poter trovare diverse cose con una sola visita.

E poi anche se i commerchianti cinesi hanno la stessa roba di Castroni a prezzi molto inferiori, se il compratore non lo sa (chi? dove? a quanto?) é come se tali commercianti non esistessero...
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« Risposta #13 il: 24 Aprile, 2007, 20:27:09 pm »
I Romani (e i migranti ricchi o le ambasciate) da Castroni non comprano assieme marmellate inglesi, té cinese, torillas messicane e salmone norvegese! In genere cercano cibi di una specifica cucina, ad esempio cinese o messicana, non varie cose assieme. A chi servono o interessano  i cibi  cinesi non interessa  sapere che ci sono o meno anche quelli messicani, brasiliani o tedeschi! E' ovvio che non si tratta di far concorenza a Castroni su tutta la gamma di prodotti ma solo su quelli che i negozi cinesi hanno. Hai  ragione sul fatto che se il consumatore non sa che i negozi cinesi (ad esempio di Esquilino, facilmente raggiungibile con la metro) hanno certi prodotti non li pu? venire a comprare. Infatti si tratterebbe di farglielo sapere! Castroni non spende un euro in manifesti e spots pubblicitari! La sua pubblicità la con le sue vetrine e il passa-parola dei clienti: pensi che i commercianti cinesi non possano proprio neppre provare a fare qualcosa di simile?
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EzumValgemom

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« Risposta #14 il: 09 Luglio, 2008, 13:53:35 pm »
Ogni giorno, nel tornare a casa, passo da Piazza Vittorio (a Roma), anche se allungo non di poco.

Lo faccio perché mi piace l'atmosfera che si respira, mi piace vedere bambini e giovani che giocano in strada (cosa che facevano anche i bambini romani fino a qualche decennio fa), mi piace vedere i negozi tenuti esattamente come sono tenuti ancora oggi quelli del piccolo paese della Lucania dal quale provengo: un po' disordinati, con tante cose  spesso dei generi più disparati, le vetrine non "addobbate", ecc...

Quelli, per me, non sono negozi, sono "scoperte".

Tu entri e non sai mai cosa ci trovi. Non solo, ma hai la possibilità di parlare con il negoziante, chiedere consigli ed anche permetterti il lusso di chiedere e negoziare lo sconto. Cosa che faccio sistematicamente, non perché mi piace speculare, ma perché fa parte della mia cultura, mi ci diverto, ed instauro una relazione umana con il negoziante e se la discussione sullo sconto mi soddisfa, ci ritorno e divento fedele a quel punto vendita.

Insomma, un modo antico di scambiare beni, con tutto il suo portato sociale, di relazioni umane, anche di affettività.

Questa è un'esperienza di consumo che gli italiani delle grandi metropoli hanno del tutto smarrito.

Non solo, ci stanno abituando ai Mega Centri Commerciali ed agli Outlet.

Ossia, a Non Luoghi, dove tutto è virtuale, finto, ri-costruito. Fontane finte, finti mercatini rionali, merci finte, commessi finti, alberi finti, ecc....

Molti romani, la domenica, ci portano i figli a "passare il tempo".

In passato i figli si portavano nei parchi, nelle ville, oggi, invece, nei Non luoghi.

Piazza Vittorio (e tutte le piazze vittorio d'Italia) non è un Non Luogo.

E' un luogo, è vero, è reale. Questa è la sua forza e su questa sua caratteristica occorre lavorare, a mio avviso.

Più che addobbare le vetrine rendendole simili a Castroni o ai Centri commerciali, occorre lavorare sulla sua dimensione umana.

Non è affatto semplice, occorre una grandissima dose di creatività, ma è un tentativo che deve essere fatto, perché Piazza Vittorio, secondo me, costituisce un bene da tutelare importante tanto quanto il Colosseo o Piazza San Pietro.
« Ultima modifica: 01 Gennaio, 1970, 01:00:00 am da EzumValgemom »
\"To know nothing of the culture of others is to impoverish one’s own; to destroy the culture of others is an act of self-mutilation. Respect for cultural diversity and its corollary dialogue, is essential to the survival of humanity.\" UNESCO