vanno fatte alcune precisazioni:
"1. Esse contengono:
ò il nome dell'esercizio o la ragione sociale della ditta,
ò la qualità dell'esercizio o la sua attività permanente,
ò l'indicazione generica delle merci vendute o fabbricate o dei
servizi prestati. "
non si dice ovviamente che DEVONO contenere TUTTI questi elementi:
un negozio é normale abbia una insegna che dice ROSA o al più boutique ROSA, dove non ci sono né la ragione sociale della ditta né la indicazione delle merci (oppure si chiama GELATERIA ROSSI, dove Rossi é la ragione sociale della ditta in quanto cognome del proprietario): questo chiarisce definitivamente che i poveri postini non c'entrano un fico secco...
"2. Per tutte le insegne richieste, anche se non espressamente
vietate a norma di regolamento, devono essere riconosciuti da
parte dell’Amministrazione comunale, quei requisiti oggettivi
(tipologia, dimensioni, colori, materiali impiegati,,
composizione delle scritte e dei disegni, posizione ecc.)tali da
consentire ai fini di una valida salvaguardia del decoro e di
rispetto dell’ornato urbano , un loro confacente ed armonico
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inserimento nel contesto ambientale ed architettonico della
città."
come nota giustamente Xaratos é questo l'articolo che lascia maggiore spazio ad infami manovre razziste, dato cheb il regolamento non era stato pensato in situazioni di forte presenza di negozi di migranti
"3. Le insegne e le scritte interne o esterne alle vetrine, se in lingua
straniera, devono avere la corrispondente traduzione italiana.
Fanno eccezione le insegne in lingua straniera ormai divenute
parte del linguaggio comune italiano. "
e qui siamo alla farsa, perché:
- le ragioni sociali delle ditte NON SI TRADUCONO MAI (provate a trovare tradotto Carrefour, Christies, Burberrys, Harrods, L'Occitaine, ecc.!!!!) e se la insegna include la ragione sociale essa non pu? essere tradotta, a proposito NESSUN ristorante e negozio giapponese a Roma ha insegna con la denominazione della ditta in Italiano ma solo in Giapponese traslitterato;
- i nomi propri NON SI TRADUCONO MAI (provate a trovare se vengono cancellate insegne con scritto Rosy, Valentine, Susy, Kitty, ecc.), idem come sopra;
- le sigle NON SI TRADUCONO MAI (provate a trovare se esistono traduzioni italiane di ragionin sociali che sono espresse da sigle derivanti da parole in lingua straniera), idem;
- l'articolo del regolamento NON PARLA INVECE DI TRASLITTERAZIONI, cosa importante per Cinese, Arabo, Urdu, Hindi, Yiddish, Farsi, Giapponese, ecc. e teoricamente non le impone affatto, ma certo sarebbero utili e quasai tutti i negozi cinesi già le usano;
- la parte relativa al "linguaggio comune italiano" fa ridere: va bene che i provinciali servi degli USA italici chiamano perfino WINEITALY la loro rassegna enologica vergognandosi della parola vino, o electionday il riunire in un solo giorno varie elezioni, ma dubito che soprattutto nelle generazioni di età maggiore (che sono una aliquota rilevante della popolazione italica) le terminologie inglesi siano davvero di uso comune, eppure ci si é dovuti adattare a vedere discount, cash, internetpoint, ecc. sulle insegne, o avvisi con scritto SALE per SALDI o FREE per GRATIS per non parlare di lingerie, boulangerie, patisserie ed altri termini francesi che fanno chic; inoltre a parte McDonald, CocaCola, Auchan, ecc. non si pu? affermare che i cognomi o le ragioni sociali delle ditte straniere o scritte in Inglese siano "entrate nel linguaggio comune" (e si noti che le sedi delle banche straniere non hanno insegne con la ragione sociale tradotta in Italiano: Deutsche Bank si chiama Deutsche Bank e basta)
quindi si conferma un uso ridicolo, farsesco e discriminatorio di una norma confusa, fatta male e manovrabile a piacere.
quanto ai richiami del ritornato utente vasco alle insegne bilingui del SudTirol-AltoAdige (e si potrebbe aggiungere in Val d'Aosta), ovviamente non ci azzeccano nulla, dato che si tratta:
- di Regioni a Statuto Speciale;
- di un bilinguismo (anzi in Val di Fassa e di Fiemme e di Marebbe, ecc. di trilinguismo, dato che vi é pure la lingua ladina) LOCALE, nel senso che non si tratta di Italiano + una lingua straniera, magari di migranti, ma di lingue delle comunità autoctone locali, valorizzate dalla Costituzione, dalle leggi, dagli accordi internazionali (es. Accordo De gasperi-Gruber).