Dialogo e integrazione, quale senso possono avere in questi casi, quando il comune, prima propone di dare una mano per individuare una soluzione, un luogo dove spostarsi nel rispetto anche degli interessi degli imprenditori cinesi, poi più niente.
Non è esattamente così, ma non voglio fare polemica sulle idee, tanto più che non ho alcuna simpatia per chi amministra il comune di milano.
Però ci sono alcuni fatti che non mi sembrano siano stati tenuti in considerazione qui nel trattare il problema:
1) Sono stati individuati in successione tre luoghi alternativi senza successo, a partire dalla metà del 2007.
2) Nello stesso periodo, mentre si lavorava ad un accordo, decine di nuovi grossisti si insediavano nel quartiere, segno che la volontà di spostarsi non c'era al di là delle buone intenzioni manifestate ai tavoli ufficiali di trattativa.
3) I grossisti sono divisi, hanno posizioni tra loro diverse e, soprattutto, sono organizzati in ben dodici diverse associazioni: chi ha dichiarato di rappresentarli non ha mai avuto la fiducia di tutti, e spesso nelle varie riunioni ufficiali sono intervenuti referenti diversi, impedendo una continuità di interlocutori.
Come italiano, non ho mai mancato di riconoscere e criticare gli errori e le intolleranze degli italiani.
Qui ci sono errori e intolleranze anche da parte dei grossisti cinesi.
Liberi di non riconoscerle, ma poi diventa inutile lamentare la mancanza di dialogo.