Parlare di catastrofe umanitaria è persino riduttivo. Il grido d’allarme lanciato da Claudio Tecchio, il responsabile dell’Ufficio internazionale della Cisl da sempre impegnato sul fronte dei diritti umani, non è bastato a mobilitare la comunità internazionale per cercare di interrompere il genocidio in atto nella Corea del Nord. Nessuno sin qui ha fatto nulla di concreto e milioni di persone rischiano di morire di fame, nell’impotenza delle Nazioni unite e nell'indifferenza generale.
La Corea del Nord û ha denunciato Tecchio in uno scritto recente - è oggi alle prese con una crisi alimentare tra le peggiori della sua storia contemporanea, forse ancora più grave di quella che negli anni æ90 provocò la morte di oltre un milione di persone. La ômonarchia comunistaö, dopo aver distrutto l'economia tradizionale basata sulla coltivazione della terra, ha cercato inutilmente di garantire l’autarchia imponendo politiche fallimentari, che hanno solo aumentato la dipendenza dalle importazioni e dalla solidarietà dei paesi ôamiciö.
Secondo il World food program delle Nazioni Unite, oltre sei milioni di coreani (più di un quarto della popolazione) dipendono dagli aiuti internazionali per la loro sopravvivenza. A ogni sia pur minima riduzione del volume degli aiuti, corrisponde un riacutizzarsi della crisi alimentare. La situazione è precipitata nei mesi scorsi, quando la Cina, alle prese con crescenti difficoltà di approvvigionamento e un’inflazione galoppante, ha deciso di ridurre le vendite a ôprezzo politicoö nel protettorato coreano. Altri donatori, quando hanno scoperto che gli aiuti finivano nei magazzini di uno dei più agguerriti eserciti del mondo, hanno deciso a loro volta di ridurre le spedizioni.
Il paese è letteralmente distrutto: in alcuni villaggi si sarebbero verificati casi di cannibalismo. Controllo poliziesco e delazione di massa, intimidazioni e arresti, tortura e lavori forzati hanno ridotto al silenzio qualsiasi forma di protesta e di opposizione. Privi di speranza, i coreani tentano di sfuggire all'apocalisse, ma i confini sono stati sigillati e non c'è più alcuna possibilità di trovare rifugio nei paesi vicini. Chi crede di raggiungere la ôsalvezzaö in Cina viene arrestato e ricondotto in Corea, dove lo attendono la fucilazione o il campo di lavoro a vita. Un'intera generazione rischia di morire di fame e di stenti. Le poche primitive scuole vengono disertate, poiché i genitori costringono i figli ad andare alla disperata ricerca di qualche erba da cuocere, di radici da cucinare. Nemmeno nelle città l'infanzia è al riparo da vessazioni e privazioni. Nella capitale, per un pugno di riso, migliaia di bambini sono costretti ogni giorno a estenuanti esercitazioni finalizzate alla celebrazione degli anniversari del despota, oppure a festeggiare una qualche ôconquistaö delle sue violente ôavanguardie proletarieö.
La lista degli orrori potrebbe continuare all’infinito: lavoratori ridotti in schiavitù, religiosi umiliati e offesi, donne costrette alla prostituzione, bambini sfruttati. Nessuno però osa denunciare quanto accade a milioni di uomini e donne colpevoli solo di essere nati in un ôparadiso comunistaö. Nessun uomo politico europeo ha avuto sin qui il coraggio di stigmatizzare lo sterminio di un intero popolo. Le Nazioni unite, la Ue, gli Stati Uniti e i loro alleati, che pure si proclamano strenui difensori del diritto internazionale, fautori dell'ingerenza umanitaria, paladini dei diritti umani, tacciono. Tutti fingono di non sapere cosa sta accadendo, perché la Corea del Nord era e resta un protettorato cinese. Nell'attesa che i dirigenti di Pechino decidano le sorti del paese e della sua classe dirigente, un intero popolo letteralmente muore di fame.
NOTE
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